Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 29 novembre ore 16.30 a Pontremoli
24 Novembre 2024 – 21:44

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 29 novembre ore 16.30
Pontremoli – Centro ricreativo comunale
Il libro di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di un maestro …

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Giorgio Pagano in stile africano

a cura di in data 28 Agosto 2015 – 14:13

Intervista di Simona Pardini a Giorgio Pagano
Cronaca4 27 agosto 2015

Giorgio Pagano, già Sindaco della Spezia, ora impegnato in tante “avventure” culturali e sociali, è momentaneamente nella sua Lerici. E’ rientrato da Sao Tomè, piccolo Stato africano situato nel Golfo di Guinea, dove sta seguendo un progetto di cooperazione internazionale: il Piano di Sviluppo Sostenibile e Inclusivo del Distretto di Lembà, una delle province dell’isola, e il Piano di Ordinamento Territoriale di Neves, la città capoluogo del Distretto. Insomma, il Piano Strategico e il Piano Urbanistico, per usare il nostro linguaggio. Pagano ripartirà a settembre, per concludere, entro il 2015, il lavoro iniziato nello scorso giugno.

Cosa l’ha spinta ad impegnarsi per questo progetto di Cooperazione in Africa?
Il mio impegno per l’Africa viene da lontano. Nel 2007, terminato il mio secondo mandato da Sindaco, diventai responsabile per l’Anci (l’associazione nazionale dei Comuni) della cooperazione internazionale, e mi impegnai nel progetto “Municipi senza Frontiere”: il sostegno dei Comuni italiani ai nascenti Comuni del Niger. Terminato il progetto, nel 2010, lasciai l’Anci per fondare, insieme a tutti coloro che avevano lavorato con me, l’associazione Funzionari senza Frontiere, di cui sono Presidente (volontario, sia chiaro!). Volevamo continuare a portare nella cooperazione tra Europa e Africa la prospettiva locale: senza il decentramento amministrativo e l’autogoverno dei territori non c’è futuro per l’Africa. Il rafforzamento delle istituzioni locali è decisivo per generare sviluppo economico e coesione sociale. Da allora collaboriamo con Enti locali e Ong alla stesura di progetti, e individuiamo i funzionari pubblici esperti nelle materie di volta in volta al centro dei progetti, per un loro impegno “sul campo”. Il nostro raggio di azione si è esteso anche alla Palestina, una realtà che conosco bene grazie al gemellaggio tra La Spezia e Jenin. Quando si tratta di seguire “piani complessi”, tocca a me, perché è la cosa che so fare. Ho fatto un’esperienza straordinaria, quella del Piano Strategico di Betlemme. E ora, finalmente, l’Africa.

Qual è la sfida più grande che si propone nell’attuare questo progetto?
La sfida più grande è una visione nuova della cooperazione. Cooperazione deve significare superamento dell’assistenzialismo, trasferimento di tecnologie ed esperienze, formazione delle persone perché cresca la capacità di autogoverno delle persone stesse e delle istituzioni locali. La nostra sfida vera non è quella di scrivere i Piani, ma di creare le condizioni perché i Piani non restino nel cassetto: ciò dipenderà dalle nuove competenze e dalla nuova voglia di partecipare che sapremo stimolare e far crescere tra amministratori, tecnici, cittadini. Per fare un esempio: al povero pescatore che chiede un aiuto per cambiare il motore della sua povera barca, dobbiamo certo dare il nuovo motore, ma soprattutto la capacità di uscire da una logica individualistica, di costruire forme di vita comunitaria nei villaggi, di dar vita insieme ai suoi compagni a una cooperativa, sostenuta dall’Ente locale e dalla cooperazione internazionale… L’importante è che i Piani siano partecipati e condivisi: come dico sempre nelle assemblee, i Piani devono essere “di Lembà”, non “per Lembà”.

La vita a Sao Tomé è tanto difficile da affrontare o si riesce a convivere con le varie povertà?
La povertà è davvero, ai nostri occhi, drammatica. Ci sono stati miglioramenti consistenti nel settore dell’educazione di base e della salute, ma c’è molta disoccupazione, e le condizioni abitative sono disastrose. La maggior parte delle “case” sono baracche di legno, senza luce, acqua, gas, latrine… Certo, i saotomensi riescono a convivere con tutto questo. A volte mi viene da pensare che siano felici: fino a quarant’anni fa erano schiavi, non stavano certo meglio… Ma con televisioni, cellulari, internet, le persone sono sempre più consapevoli della disparità nei diritti umani e nella distribuzione delle risorse nel mondo globale. Questo le spinge a farsi avanti, a studiare, a lottare… ma le spinge anche a emigrare -lo ha già fatto un terzo della popolazione saotomense- e purtroppo, a volte, anche a sperimentare rimedi illusori, dalla prostituzione per guadagnare alla droga per evadere.

Crede che progetti di cooperazione come questo possano veramente contribuire a risollevare le sorti di quel Paese? Cosa servirebbe di più per farlo al meglio?
Progetti come il nostro puntano a creare “capitale sociale”, voglia di riscattarsi e di essere protagonisti, rafforzamento delle istituzioni locali: sono le condizioni perché Sao Tomè ce la possa fare. Il Paese ha grandi risorse: l’agricoltura, a cominciare dal cacao più buono del mondo, la pesca, il turismo, sia balneare che rurale. Sao Tomè è un Paese bellissimo. Uno sceicco o una multinazionale potrebbero trasformarlo in poco tempo in una sorta di “Dubai dell’Atlantico”: le persone magari starebbero un po’ meglio, ma il Paese perderebbe la sua identità. La nostra sfida è quella di uno sviluppo diverso, fondato sull’identità di Sao Tomè, il suo ambiente, la sua biodiversità così ricca… Una meta di sogno e non un paradiso immobiliare: di questi ce ne sono già tanti… Dipenderà dai saotomensi, ma anche da noi: serve più cooperazione internazionale -un settore che in Italia è sempre più marginale-, una cooperazione non assistenzialistica, che unisca all’aiuto la capacità di creare autogoverno, e anche l’impegno delle imprese, le loro iniziative, i loro investimenti. Imprese responsabili e sostenibili economicamente ed ecologicamente, che al di fuori di ogni logica neocoloniale lavorino in partenariato con lo Stato e con le imprese saotomensi.

C’è spazio anche per le imprese liguri e spezzine?
Certamente. Un’altra delle mie “avventure”, Januaforum, che riunisce i cooperanti liguri, ha dato vita alla RAIL (Rete Attività Internazionali Liguria). La RAIL, insieme all’analoga Rete toscana, ha siglato un protocollo di intesa con il Governo di Sao Tomè: tra gli obbiettivi c’è il partenariato economico. Le nostre imprese supereranno la crisi solo se diventeranno capaci di andare all’estero, supportati dalle istituzioni. Agricoltura, pesca, turismo, energia e ambiente: lo spazio, a Sao Tomè, è davvero grande.

Una vita così diversa rispetto alla nostra che riflessioni le suscita?
Innanzitutto suscita dolore. Viene in mente il monte di parole che l’Occidente ha sempre riversato su questo mondo fragile, disperato ma vitale. Viene in mente il colonialismo, e il neocolonialismo di oggi: siamo noi che abbiamo lasciato che la miseria devastasse un continente, siamo noi che impediamo agli africani di cambiare. Ma l’Africa ce la farà: ha una popolazione molto giovane, che non si arrende; e ha alle spalle la grande cultura precoloniale, un umanesimo profondamente innestato nella spiritualità africana.

Cosa pensa attualmente dell’impegno in politica?
La politica partitica e istituzionale è oggi “un harem di cooptati e furbi”, come ha detto monsignor Galantino, segretario della Cei. Non è mai stata così screditata, e mai è stato così grande il distacco tra il popolo e i partiti, tra il popolo e le istituzioni. Mai è stato così devastato, inoltre, il campo della sinistra politica. Per me resta valida la scelta che feci nel 2007: l’impegno sociale e culturale. Un ciclo politico è finito per sempre, serve un progetto che parta dal sociale e riunifichi ciò che la crisi ha diviso, lavoratori dipendenti e autonomi, precari, pensionati, migranti… Poi vedremo chi rappresenterà politicamente questo progetto: ma saranno forze nuove, che non avranno nulla a che fare con le forze del ciclo precedente.

E la politica spezzina?
I fatti parlano da soli: il Pd, candidando la Paita, ha perso la Regione, candidando Caluri ha perso Lerici, e così via… Vuol dire che la maggioranza dei cittadini dà un giudizio negativo su come il Pd governa. Ma qualche buona notizia arriva: la centrale Enel sarà dismessa. Peccato che l’abbiamo saputo dall’azienda e dal Comitato SpeziaViaDalCarbone, non dal Comune. E’ un processo irreversibile: ora bisogna pensare subito al futuro, alla bonifica e a cosa fare su un’area strategica per la città.

Come giudica la nuova Giunta lericina?
E’ ancora troppo presto per giudicare, ma una cosa balza agli occhi: serve una visione strategica per il futuro. E’ il momento di fare punto a capo. Non ci sono solo le emergenze: la chiusura del Castello, delle spiagge dietro il Castello e dell’Arenella a San Terenzo, l’inquinamento ogni anno alla Venere… C’è da fare i conti con un declino strutturale: calo demografico, fuga dei giovani, diminuzione delle imprese, calo dei turisti. Bisogna puntare sull’identità di Lerici: il mare, le colline e i borghi, la storia, i grandi poeti, la gastronomia… Lerici ha tutte le caratteristiche delle Cinque Terre, ma deve innovare radicalmente su servizi ai turisti, comunicazione, marketing ed eventi. Il punto è questo, non è aprire la ztl un’ora prima o dopo…

Si è ripreso dalla delusione della recente campagna elettorale?
Per essere deluso avrei dovuto essere illuso. Sono stato candidato Presidente per poco tempo, proposto da un gruppo di persone della società civile, per dar vita a una grande lista civile, sociale e popolare. Purtroppo, come prevedevo, i nostri interlocutori, il M5S e la sinistra, hanno scelto di correre da soli, e io mi sono fatto da parte. Uniti avremmo vinto. Come è successo a Madrid e a Barcellona. Il futuro è questo, i vecchi partiti hanno fatto il loro tempo. Compresa Sel, a cui sono stato vicino per qualche anno. Sono stato molto coinvolto nella storia della sinistra e ne porto l’orgoglio, ma è una storia finita.

Le viene il Mal d’Africa quando torna a casa?
Sao Tomè non è solo Africa, è anche un’isola. Da cui hai sempre voglia di partire, e poi di tornare. Ora ho voglia di tornare. Sì, ho nostalgia di una terra antichissima, che ti entra dentro lentamente, con le sue luci, i suoi paesaggi, i suoi volti. E ho voglia di continuare a cercare di capire, in punta di piedi, la mentalità e i bisogni dei saotomensi. Per dare loro, nel mio piccolo, una mano.

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