“Fra gli ultimi del Mondo” – Edizioni Giovane Holden (2017) – PostFazione di Giorgio Pagano
“Ci sarà il sole? O la pioggia ? O nevischio?
madido come il sorriso posticcio del doganiere?
Dove mi vomiterà l’ultimo tunnel
Anfibio ? Nessuno sa il mio nome.
Tante mani attendono la prima
rimessa, a casa. Ci sarà?
Il domani viene e va, giorni da relitti di spiaggia.
Forse mi indosserai alghe cucite
su falsi di stilisti, con marche invisibili:
fabbriche in nero. O souvenir sgargianti, distanti
ma che ci legano, manufatti migranti, rolex
contraffatti, l’uno con l’altro, su marciapiedi
senza volto. I tappeti invogliano ma
nessuna scritta dice: BENVENUTI.
Conchiglie di ciprea, coralli, scogliere di gesso.
Tutti una cosa sola al margine degli elementi.
Banchi di sabbia seguono i miei passi. Banchi di sabbia
di deserto, di sindoni incise dal fondo marino,
poiché alcuni se ne sono andati così, prima di ricevere
una risposta – Ci sarà il sole?
O la pioggia ? Siamo approdati alla baia dei sogni”
Sono i versi di “Migrante”, una bellissima poesia di Wole Soyinka, grande scrittore, poeta, drammaturgo e attivista politico nigeriano, il primo Premio Nobel per la letteratura africano.
Diciassette versi di “Migrante” sono serviti per altrettante lapidi, quelle dei migranti di nazionalità eritrea, siriana e nigeriana che nella metà del mese di maggio del 2014 morirono in un naufragio al largo di Lampedusa, comprese due bambine di pochi mesi. Sono stati incisi sui loculi realizzati nel cimitero di Catania e recitate durante una cerimonia funebre interreligiosa, nel marzo 2015.
Soyinka sostiene che l’arte è la forma di resistenza più completa:
“Pensiamo all’umanità come a una comunità di esseri viventi costantemente in movimento. Essere umani significa essere in moto, in una situazione dinamica. Tutte le arti dovrebbero scendere in prima linea e puntare l’attenzione su quello che sta succedendo” (l’Espresso, 19 febbraio 2017).
E’ anche la tesi dell’artista dissidente cinese Ai Weiwei, autore dell’epico docufilm “Human Flow”: un anno di viaggi e di riprese in ventitré Paesi della Terra. Immagini, nella disperazione umana, di una bellezza straniante. Così Ai Weiwei spiega perché ha girato il film e perché l’arte deve essere “in prima linea”:
“Penso che non ci potrà essere nessun miglioramento nella nostra società e nel dramma delle migrazioni se non abbiamo consapevolezza del fenomeno. Dobbiamo capire che l’umanità è una sola, che siamo tutti sullo stesso pianeta e nati come esseri uguali. Quando parliamo dei migranti parliamo in realtà di quale futuro vogliamo… Sono un’artista e credo profondamente che l’arte sia in prima linea nelle battaglie etiche e morali. Fare un film vuol dire condividere se stessi con altri che vogliono comprendere il fenomeno: l’arte, cioè, può creare connessioni per capire meglio il mondo in cui viviamo. E forse per riuscire persino a smuoverlo” (L’Espresso, 20 agosto 2017).
Non si ferma l’umanità in cammino, e compito dell’arte e della cultura è capire. Capire il Mondo, il suo Sud, l’Africa, per capire le migrazioni. L’arte e la cultura sono il vero antidoto alla paura. Perché uniscono pensiero emotivo e pensiero razionale: il vero pensiero dell’uomo consiste in questa unità.
Ecco la forza politica e poetica della raccolta “Fra gli ultimi del Mondo”, che ben rappresentala tragedia di coloro che oggi sono i più deboli ed esclusi: i “brandelli fuggiti” e la “marea di statue molli” della perfetta sequenza, quasi un incubo, di “A”, la poesia vincitrice del premio, e poi i bambini come “Aysha” della poesia omonima, Aylan di “Fiori di Bodrùm”, Malak di “Il fiore di Malak”, il figlio di“Comm’è scuro cà ‘ssotto”, fino al feto del racconto “Cristalli di sale”.
Ma l’Africa e il Sud del Mondo non sono soltanto tragedia. Sono anche opportunità, risorse, potenzialità.
Ho fatto il cooperante in Africa, nei luoghi più nascosti. Non è stata un’esperienza semplice. All’inizio è stato traumatico: è una realtà molto diversa, che ti sfida ad accettare le sue contraddizioni, i suoi tormenti, le sue passioni. La prima volta la reazione fu, dopo un po’, quella di fuggire. Ma poi sentii il bisogno di tornare: l’Africa ti penetra dentro, e nasce un rapporto indissolubile. Con i bambini, innanzitutto. Così presenti in questa raccolta. Sono stato in villaggi dove i bambini non avevano mai visto l’”homem branco”: un essere curioso, da scoprire con il loro sguardo intenso e penetrante, con cui giocare, con cui scambiare la realtà interiore. Un rapporto indissolubile, sia pure meno immediato e da costruire nel tempo, anche con gli adulti: in loro c’è una intensa spiritualità, una grande solidarietà comunitaria, una “forza vitale”.E’ l’umanesimo africano:quello per cui si resta “quasi estasiati e raddolciti dalla naturalezza ‘primordiale’ dell’attenzione genitoriale e materna”, raccontata in “Come un uccellino”.
L’Africa non è una minaccia da cui avere paura, ma una possibilità di rinascita e di crescita per risollevare l’occidente, individuata nella poesia “Una chioma di regina”:
“Hai tu nelle vene sangue orgoglioso di popoli migranti
E’ in te la speranza che l’occidente esangue torni a migrare”.
Una possibilità che si manifesta non solo con il lavoro che gli africani svolgono da noi, ma anche e soprattutto con il dono della ricchezza interiore che gli africani hanno dentro, e che caratterizza la loro arte e la loro cultura. Ecco, lo scambio reciproco di arte, cultura e di ogni forma di espressività è ciò di cui abbiamo più bisogno.
Giorgio Pagano
Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo e dell’Associazione Funzionari senza Frontiere
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