Come volevasi dimostrare che nella storia del futuro accadrà che il centro diventi periferia e la periferia centro, ovvero da São Tomé e Principe all’Italia
Come volevasi dimostrare che nella storia del futuro
accadrà che il centro diventi periferia e la periferia centro,
ovvero da São Tomé e Principe all’Italia
di Paolo Farinella, prete
(Savona, Libreria Ubik – Giovedì 18 maggio 2017, h. 18,00)
Giorgio Pagano, São Tomé e Principe. Diario do centro do Mundo,
Edizioni Cinque Terre, La Spezia 2016.
La forma esteriore si presenta come un volume di 238 pagine, suddivise equamente tra N. 114 foto, scattate dall’Autore e da N. 57 articoli, redatti dallo stesso, più l’introduzione dal titolo «La “nostra” Africa» . Con questi due strumenti – Parola/Immagine, Giorgio Pagano dipinge gli ultimi 15 anni dei suoi interessi che non hanno come orizzonte il suo ombelico, ma s’immergono in una prospettiva universale del mondo, avendo come punto di osservazione privilegiato l’Africa equatoriale e precisamente «O Centro do Mundo» che è São Tomé e Principe, di fronte al Gabon a est, e più a nord-est alla Guinea e a sud-est al Congo. Meno di 1.000 km2 e meno di 200 mila abitanti. Nel mondo globalizzato è la misura di una capanna o una tenda da campeggio. Pare che São Tomé e Principe sia al centro di un enorme giacimento petrolifero.
Il libro ha come sottotitolo, in portoghese, «Diario do centro do mundo» (p. 14). Un diario non è un libro, ma uno sfogliare affettivo, quotidiano, cui si affidano sentimenti e angosce, non destinate al pubblico, in prima battuta. Giorgio Pagano non ha di questi pudori e pubblica le sue emozioni e le sue paure, i suoi travagli e le sue indignazioni. Eppure questo «Diario» non può essere capito se non si comprende la genesi che non ha le proprie radici in Africa, ma nel Vicino Medio Oriente, esattamente a Jenin, a sud di Nàzaret e a nord di Nablus. Questa partenza è determinante perché se è vero che São Tomé è «O centro do Mondo», è anche vero che Jenin e la Palestina sono l’ombelico del centro del mondo e se non si risolvono le questioni in Palestina, sarà difficile trovare soluzioni adeguate in tutte le altre parti del mondo.
Nel 2005 (v. p. 13), da sindaco di La Spezia, Giorgio Pagano va in Terra Santa per siglare un triplice gemellaggio: La Spezia – Jenin (Palestina) – Haifa (Israele). Due anni dopo a Jenin inaugura il centro giovanile «Sharek» con N. 10 progetti pilota per N. 30 ragazzi a rischio, provenienti anche dal vicino campo profughi.
In questa occasione Giorgio Pagano chiese a un giovane di 16 anni se avesse speranza per la pace, attendendo la risposta con trepidazione, al pensiero che potesse dire: «Non abbiamo altra alternativa che essere kamikaze». Con sua grande sorpresa, l’adolescente rispose: «Tutti i ragazzi, palestinesi e israeliani, hanno diritto a essere felici, tocca agli adulti saper rispondere al nostro bisogno» (p. 13). Mi viene in mente un verso di un Autore anonimo che al figlio che diventando maggiorenne dice: «Ubbidirti a crescere è la mia vanità», dove l’accento è posto sull’adolescente e il suo diritto a crescere, mentre l’adulto si riserva il ministero, il servizio di creare le condizioni ottimali perché la crescita si realizzi, senza interferenze. Oppure mi viene in mente ciò che l’austero Giovanni Battista dice indicando Gesù, di cui non è geloso: «Lui deve crescere, io diminuire» (Gv 3,30). Il ragazzo palestinese senza saperlo aveva in sé la sintesi della sapienza universale che non parte dalla circostanze (la pace, la guerra, l’economia, la povertà), ma dalla condizione umana essenziale: «tutti i ragazzi, palestinesi e israeliani, hanno diritto a essere felici». Antropologia pura e altissima, da premio Nobel. Se facessimo di questo obiettivo «O Centro do Mundo», noi salveremmo il mondo. Il libro e l’esperienza di Giorgio Pagano, valgono la pena, fosse solo per questa affermazione.
A questo punto, Giorgio Pagano cita Massimo Toschi, Un “Abile per la Pace”, ed. Jaka Book, Milano 2013: «Quando il dramma è assoluto, la politica diventa semplice», cioè è compito degli adulti prendersi cura dei giovani, accudirli, sfamarli, istruirli, renderli felici. Giorgio La Pira non avrebbe saputo dire meglio questa utopia che è l’unica realtà concreta che oggi può salvare il mondo, nonostante le apparenze.
Sono amico di Giorgio Pagano, ci siamo incontrati occasionalmente per ragioni politiche perché sia lui che io abbiamo della Politica un sentire spirituale, sia perché ambedue, su questo piano, siamo della scuola filosofica aristotelica, («L’uomo è per natura un vivente politico – ànthopos phýsei politicòn zôion»), sia perché fa parte del diario del nostro cuore e della nostra formazione per cui riteniamo con la SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, in DON LORENZO MILANI. Tutte le opere, vol. I, Mondadori, Milano 2017, 693: «Sortirne tutti insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia».
Stiamo attraversando un tempo che riguarda il mondo intero in cui l’avarizia ha generato la solitudine e l’egoismo che producono la supremazia della stupidità perché nessuno è in grado di alzare la testa e sollevarsi sulla punta dei piedi per vedere oltre il proprio naso per scoprire un panorama diverso, un mare aperto, un mondo che aspetta Giustizia, mentre noi non gli diamo che spazzatura; Diritto, mentre gli diamo schiavitù e servilismo, senza renderci conto che siamo solo artefici della nostra eutanasia. Nessuno ci piangerà perché abbiamo avuto tanta paura da rintanarci nell’abisso della nostra solitarietà dove abbiamo covato le uova della morte. Nessun ricordo di noi resterà nella Storia, perché saremo cancellati come pula al vento, polvere inutile e ingombrante.
Ho vissuto quasi cinque anni in Palestina, a Gerusalemme, lì ho passato tutta la seconda intifada e conosco Jenin e ora so perché questa sera dovevo esserci anche io qui a Savona, dall’amico Stefano di questa libreria Ubik, luogo-cult d’interesse pubblico, più che a presentare questo libro, a suggerire e implorare e supplicare ciascuno di voi ad alzare lo sguardo e ammirare il mondo che ha due dimensioni: per chi crede è il luogo della Presenza di Dio, della Shekinàh/Abitazione di Dio e quindi è il luogo dove ognuno riscopre l’altro come parte migliore di sé («Ama il prossimo tuo come te stesso» – Lv 19,18;Mc 12,31) e di cui non ha paura, perché se Dio è Padre di tutti, dal momento che Gesù che ha imposto di pregare al plurale «Padre Nostro», mai «Padre mio». Come si può avere paura della propria carne e sangue?
L’altra dimensione è laica: il mondo è lo spazio, il «dove» in cui ciascuno ha il diritto di stare o per dirla con l’esistenzialismo di Martin Heidegger: ognuno ha il diritto di «esser-ci – Da-Sein», che in tedesco vuol dire più esattamente «essere lì» in un tempo e in uno spazio verificabili e non immaginari.
L’Africa è, a mio modesto avviso, la chiave di salvezza dell’occidente, se abbiamo abbastanza intelligenza da leggere ciò che sta accadendo in un contesto ampio, storico, economico e antropologico. Nulla nella storia è separato, ma tutto si tiene insieme per causalità e per conseguenze. Dal sec. XVII al sec. XIX, l’Africa è famosa per tre motivi: lo schiavismo e la tratta verso le Americhe del Nord e del Sud (sec. XVI-XVII); i safari e il saccheggio delle materie prime a beneficio delle classi nobili e abbienti europee (sec. XVIII-XIX). Oggi l’Africa presenta il conto, con gli immigrati presenta un conticino per solo antipasto perché il conto finale deve ancora arrivare.
O sappiamo vedere gli avvenimenti con gli occhi della Storia, o noi non siamo degni di vivere perché siamo solo capaci di rallentarne il processo di sviluppo e di rigenerazione; i comportamenti dei singoli Paesi e dell’intera Europa sono la prova che siamo ciechi e sordi, posizione tragica perché è la premessa della scomparsa dell’occidente. Non sono gli Africani che ci uccidono, siamo noi che li chiamiamo al nostro capezzale come testimoni della nostra protervia e della nostra insipienza. Vi sembrerà strano, ma il futuro dell’Europa è l’Africa. Nessuna azione singola o collettiva è neutra: essa per legge produce sempre una reazione che può essere coerente nel bene o drammatica nel peggio.
Giorgio Pagano ci costringe a lasciare la costa e avventurarci in mare, approdare all’Isola di São Tomé e da lì, un po’ lontani, ma non eccessivamente, contemplare, ascoltare e sognare che il Paradiso terrestre è possibile perché non è questione di sicurezza o di economia, ma solo di prospettiva: «La mia concezione della politica mi ha sempre spinto a partire dalle persone» (p. 14) e poi appoggia questa affermazione su due giganti del secolo scorso, Vittorio Foa e Bruno Trentin perché «al centro della loro riflessione non c’è l’individuo, ma la persona», prospettiva che porta Bruno Trentin a convincersi definitivamente che «l’utopia della trasformazione della vita quotidiana debba diventare il modo di fare politica» (p. 15). Ancora una volta si torna ad Aristotele: la distinzione tra individuo, definizione dell’indeterminatezza, e persona, identità unica e assoluta, consapevole e comunicante con sé (coscienza) e con gli altri (socialità). Non si tratta di trovare una convergenza con il personalismo cristiano di matrice francese con Emmanuel Mounier o Jacques Maritain (pp. 15-16); qui si tratta di dire in termini laicissimi quello che il Vangelo dice in termini altrettanto laici: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!» (Mc 2,27). Di fronte all’adultera colta in flagrante, che la legge condannava alla lapidazione, assistiamo al ribaltamento della situazione: «10Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. 11Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.
La conferma di quanto ho detto sopra è a p. 230, dove Enrico Cecchetti e Alfiero Ciampolini dell’«Euro African Partnership…» scrivono: «Una strada “circolare”: verso l’Africa e ritorno… un continente straordinario… ancora sconosciuto eppure decisivo per noi, per l’Italia e per l’Europa». Parole che possono sembrare di circostanza, ma che sono, al contrario, progettuali perché descrivono il futuro come sorgente del nostro presente. Di solito noi ripartiamo la storia in passato, presente e futuro. Occorre capovolgere l’impostazione perché se vogliamo scoprire il nostro presente, bisogna che impariamo a leggerlo non dal passato, ma dal futuro, quella che io chiamo la «teleologia della storia»: vedere le cose dal punto di vista della fine. Vi garantisco che la prospettiva cambia radicalmente, anche applicata alla vita individuale e psicologica.
Una «strada circolare» significa un’economia circolare, una politica circolare e ciò vuol dire che il profitto è visto come un bene comune da condividere perché tutti hanno diritto di sedersi alla mensa della vita, e la democrazia non può essere una finzione teorica funzionale, ma l’inverso: un albero che cresce dalla terra e s’innalza al cielo, ramificando e offrendo ombra ai passanti. La circolarità non solo afferma, ma riconosce i diritti di ciascuno non in quanto appartenente a un continente, a una economia, a uno schema di mondo artefatto, ma in quanto persona, soggetto inalienabile di diritto, fine ultimo di ogni politica, economia, religione.
Negare il diritto alla mobilità, all’acqua, al cibo a una sola persona, significa negarla al mondo intero. Dire «aiutiamoli a casa loro» nel senso di «così non li abbiamo tra i piedi», significa uccidere la Giustizia e la Dignità che poggiano sul valore supremo della Persona. Nessuno può più dirsi cristiano, nessuno ha il diritto di nominare la Costituzione del ’48 salvata dalla depravazione dei lanzichenecchi avventurieri, nessuno ha più il diritto di pretendere diritti per sé, se li neghiamo a un solo essere umano in ragione della diversità, della religione, della cultura, ecc. è il rovescio del comma 1 dell’art. 3 della Carta costituzionale:
Alle pp. 232-233, Ruggero Tozzo della «Alisei Ong» parla dell’esperienza di Giorgio Pagano come «strategica per lo sviluppo» sia per gli Africani sia per gli Italiani o Francesi, o Tedeschi o Europei che si aprono e scelgono la cooperazione come politica ordinaria della gestione pubblica delle risorse e della madre terra. Allora potrebbe valere il principio: «Aiutiamoli a casa loro, facendoci aiutare in casa nostra».
Oggi noi Europei dobbiamo uscire dai nostri confini e possiamo – dobbiamo – ritornare in Africa, perché «per uscire dalla crisi bisogna uscire», come afferma alle pp. 228-229 Sergio Schintu, dell’Associazione di Promozione Sociale Januaforum. Uscire non per invadere o imporre, ma per incontrarsi e condurre insieme progetti di sviluppo sostenibile per gli uni e gli altri.
Leggendo il libro e guardando le foto, che sono parte integrante della cooperazione e della storia progettuale che Giorgio Pagano vuole comunicare, mi veniva spesso in mente Giorgio La Pira che, da sindaco – anche lui – di Firenze negli anni ’50 del secolo scorso aveva dato vita ai «Colloqui del Mediterraneo» e nel 1958 riuniva tutti i sindaci del Mediterraneo europeo, africano e asiatico per impostare un progetto paritario finalizzato alla pace, allo sviluppo e ai diritti dei singoli e dei popoli (cfr. pp.178-179)
Giorgio Pagano si colloca su quella scia e il suo libro, frutto di una decennale esperienza concreta con risultati sperimentabili, c’insegna che solo se deponiamo le armi della saccenteria e delle finta supremazia, ancora oggi possiamo attraversare la storia con dignità perché la nostra salvezza viene dall’Africa. Eppure non dobbiamo nemmeno farlo per questo – sarebbe egoismo puro – dobbiamo convincerci che questa è la sola via perché è giusto e solo la Giustizia genera un nuovo mondo possibile, di cui vogliamo essere protagonisti, artefici e poeti (greco: poièō – invento/creo) di pace e di vita; la pace e la vita dei vostri figli e dei nostri nipoti.
Provate a realizzare il Mare Mediterraneo che diventi il porto dell’Italia, della Grecia della Bulgaria, della Turchia, della Siria, del Libano, di Israele, dell’Egitto, della Libia, dell’Algeria, del Marocco, della Spagna e del Portogallo e poi attraverso l’Egitto e il Mar Rosso, di tutta l’Africa centrale e equatoriale: in una parola la Politica diventa Poesia, Progettualità, Alleanza, Unità di Popoli e dei loro destini. Una torre di Babele al contrario, di questa sera, grazie a Giorgio Pagano, anzi per essere più esatti, a São Tomé e Principe, O Centro do Mundo, ne abbiamo avuto un sorso, un assaggio e una voglia. Grazie.
Paolo Farinella, prete
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Massimo Toschi
Fonte: il testo è tratto da http://www.mondoinpace.it/SchedaPersone/Toschi.asp
Assessore alla cooperazione internazionale; perdono e riconciliazione fra i popoli; iniziative per la cooperazione con la riva sud del Mediterraneo; iniziative contro la pena di morte e per la promozione dei diritti umani; iniziative per promuovere il dialogo sull’interdipendenza.
Massimo Toschi è nato a Porcari, in provincia di Lucca nel 1944. Sposato con Piera nel 1970 (la moglie è scomparsa nel 2002), ha una figlia, Sara, 34 anni, che attualmente vive in una comunità monastica. Ammalatosi di poliomielite ad appena undici mesi, ha affrontato con dignità e forza le grandi sfide della vita e la disabilità. Laureato all’Università cattolica di Milano nel 1987 ha acquisito il dottorato di ricerca in storia religiosa ed esercitato per molti anni l’insegnamento, in particolare al Liceo Vallisneri di Lucca. Nei suoi studi si è occupato di alcuni grandi temi dell’esperienza cristiana come la pace, la povertà, il martirio scrivendo articoli e libri dedicati a maestri come don Lorenzo Milani e ai profeti della pace.
L’attività di ricerca e di studio si è sempre saldata all’impegno sociale e civile: durante gli anni dell’università ha partecipato a un’esperienza di condivisione nel carcere di San Vittore, successivamente è stato per molti anni vicino ai malati di Aids. A partire dal 1998 il suo impegno si è allargato alle gravi crisi che devastano il sud del mondo. Nel 1998 è andato in Algeria nel pieno della guerra civile, su invito dell’arcivescovo di Algeri, nel 2000 in Sierra Leone, dove ha testimoniato non solo lo scandalo della guerra, ma anche l’oscenità dei bambini-soldato.
Nel 2000 è stato nominato consigliere per la pace, la cooperazione e i diritti umani del presidente della Regione Toscana Claudio Martini, compiendo oltre quaranta viaggi in altrettante ‘zone calde’ del mondo, dall’Iraq al Burkina Faso, da Israele alla Palestina, dall’Eritrea ai Balcani, nelle quali ha promosso e sostenuto le attività di cooperazione e di pace della Regione.
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