Così in terra, come in cielo di don Andrea Gallo
“È vero, esiste un profondo dissenso fra me e la curia, ma un dissenso di amore e di profonda, convinta ricerca della verità. La cosa più importante è che si continui ad agire perché i poveri contino. Ci incontreremo ancora. Ci incontreremo sempre. In tutto il mondo, in tutte le chiese, le case, le osterie. Ovunque ci siano uomini che vogliono verità e giustizia.”
“Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. E dell’antifascismo”.
Ecco le prime tappe di questo prete speciale, un prete che ha fatto una scelta strana: praticare concretamente e quotidianamente il Vangelo.
La sua attività inizia subito “male”: dal 1960 al 1963 è infatti cappellano del riformatorio più temuto dai ragazzi genovesi. Ed è subito in controtendenza: metodi non repressivi, rispetto e fiducia da parte dei ragazzi.
Naturalmente viene rimosso…
Diventa viceparroco della Chiesa del Carmine nel 1965, quartiere popolare e vivissimo: segnalato alla Curia come pericoloso sovversivo, viene allontanato nel 1970.
È mandato in “esilio” come arciprete a Capraia: incarico rifiutato.
Eccolo infine accolto nella canonica di don Federico Rebora e da lì, con la sua gente, non si è più mosso.
Ma di che “gente” stiamo parlando? di tutti gli ultimi, i deseredati, le prostitute, i tossici, i matti, gli ex carcerati, stranieri o italiani senza differenza, tutti gli esseri umani rifiutati e respinti.
La cosa più “strana” di don Gallo è la sua ostinata ubbidienza alla Chiesa, il non volersi mai tirar fuori e la cosa ha sempre suscitato nella gerarchia un certo imbarazzo. Di lui è stato detto di tutto: esibizionista, presenzialista, socialista, comunista. E allora don Gallo cita una frase del vescovo delle favelas, Hélder Câmara: “Quando do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista”.
Bisogna saper distinguere, sottolinea, tra obbedienza, acquiescenza e servilismo: e questo principio deve valere in ogni campo e nei confronti di qualsiasi auorità. La Chiesa, lo Stato, il posto di lavoro. Il rispetto libertà delle coscienze è un messaggio universale che non può trovare ostacoli, così come la dignità personale che nessun potere deve poter annientare. E poi in molti casi è lecito anche disubbidire: come si fa, dice don Gallo, a respingere dando in mano a degli assassini delle persone che fuggono dalla miseria? come si fa a non accogliere sulle nostre navi i disperati che solcano il mare sui gommoni? non è forse giusto disobbedire a leggi ingiuste?
Così il tema dell’identità cristiana, così caro ai politici odierni pone una domanda: “come mai lo zelo nel difendere il crocefisso nelle scuole non si estende alla condizione di nove milioni di poveri, ai precari, ai senza lavoro, ai senza identità, ai senza casa, ai migranti, ai clandestini, ai migranti”?
Don Gallo però sa di avere e di aver avuto, intorno a sé, oltre ai suoi amici diseredati, anche certe belle persone: Moni Ovadia, Fabrizio de Andrè, Fernanda Pivano, Paolo Rossi, Vasco, Pelù, i Subsonica, Cristicchi e molti altri ancora. Tutti vicini ai giovani, tutti dalla parte di chi non ha il potere. Tutti che “osano la speranza”, il motto che don Gallo ha appreso dalla vita e dalla tenacia con cui ha saputo sempre essere angelicamente anarchico.
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