La Resistenza a Lerici /4
La Marina a Lerici dopo l’8 settembre
Lerici In 1° dicembre 2023
L’inizio della Resistenza, dopo l’8 settembre 1943, coinvolse anche le Forze armate.
Nel primo articolo (settembre 2023) ho citato un passo della testimonianza del giornalista Duilio Biaggini:
“Dalla strada di Sarzana truppe someggiate [tedesche, NdA] giungevano a Lerici avendo ragione del nucleo di marina, che aveva in precedenza autoaffondato i Mas della flottiglia. I tedeschi occupavano le scuole per alloggiamenti, e si accampavano prima nelle piazze e poscia in villette già sedi di comandi militari”[1].
Il riferimento a Lerici era al Muggiano, sede delle flottiglie Mas, i motosiluranti e mezzi di assalto. In tutti i testi consultati quando si parla del Muggiano si cita sempre Lerici, pur essendo la parte militare nel territorio del Comune della Spezia.
Biaggini nominò Lerici in un altro passo:
“Il principe Aimone, prima dell’occupazione, aveva lasciato Lerici via mare”[2].
Aimone di Savoia, duca d’Aosta, era il nipote del re Vittorio Emanuele II e ammiraglio di Marina. Dopo l’entrata dell’Italia in guerra, nel febbraio 1942 fu posto al comando dell’ispettorato generale delle flottiglie MAS (Generalmas), con sede prima a Livorno e poi a Lerici (nell’idroscalo Fiaschi del Muggiano).
Junio Valerio Borghese, allora comandante della X flottiglia, raccontò che la sera dell’8 settembre, dopo aver appreso via radio la notizia dell’armistizio, si recò a casa di Aimone, suo capo militare, “un una villa situata a Pugliola, un paesetto a pochi chilometri dalla Flottiglia”[3]. Secondo Borghese Aimone nulla sapeva, e non ci credeva. Borghese aggiunse una descrizione del golfo quella sera:
“Mentre l’ammiraglio parlava, si stava verificando uno strano fenomeno. Dalle finestre del suo ufficio vedevo il cielo illuminarsi a tratti con bagliori di bengala, di razzi, di strisce di proiettili traccianti che formavano sopra il golfo un festoso multicolore arco di trionfo. La notizia dell’armistizio aveva dunque raggiunto le numerose batterie costiere e le postazioni situate sulle montagne che circondano La Spezia”[4].
Si festeggiava la fine della guerra, nell’illusione che fosse vicina.
Borghese scrisse che Aimone, una volta informatosi, gli disse che i suoi doveri dinastici gli imponevano di seguire il re, che con i vertici politici e militari si stava dirigendo verso sud, nella zona già liberata dai nuovi alleati.
Secondo l’Ufficio storico della Marina, l’8 settembre sera “l’Indomito e l’Impavido [due torpediniere, NdA] stavano andando a Lerici a disposizione dell’amm. Sq. Aimone di Savoia”; e il 9 settembre mattina “l’ammiraglio Nomis – senza por tempo in mezzo – si recò dal principe Aimone, che aveva la sera prima ricevuto ordine dal Re di raggiungerlo nel modo più rapido. Data l’incertezza della situazione lungo la rotabile La Spezia-Roma, il principe decise d’imbarcarsi con l’amm. Nomis sull’Indomito. Alle 10,30 del 9 le due torpediniere partirono da Lerici a circa 12 nodi avendo l’Impavido le caldaie in cattive condizioni”[5]. Aimone giunse a Palermo, dopo varie tappe, il 12 settembre.
La partenza di Aimone da Lerici è emblematica del crollo dello Stato e delle classi dirigenti avvenuto l’8 settembre.
I giorni successivi furono di sfaldamento ma anche di reazione ad esso: una parte del popolo italiano riscoprì la sua antica civiltà. Possiamo cogliere entrambi i fenomeni anche nella Marina. La Spezia, città nella quale dal novembre 1942 era stato spostato, per meglio proteggerle, il grosso delle forze di battaglia della Marina, è un punto di osservazione privilegiato per comprenderli.
Nel caos dello Stato le due divisioni dell’esercito preposte alla difesa della base navale spezzina – la Rovigo e le Alpi Graie – poterono dar vita solo a episodi isolati di resistenza ma molto importanti: perché comunque riuscirono a ritardare l’avanzata dei tedeschi, facendo fallire il loro intento di catturare la flotta.
In quella situazione era chiaro che non c’era alcuna possibilità di uscire vittoriosi dalla lotta contro i tedeschi: già il 9 settembre alle 14 anche La Spezia e Lerici erano sotto il loro pieno controllo. Ma tanti militari, in Italia e all’estero, preferirono osare. Il valore morale e civile della loro scelta è enorme.
Nella Marina si fece ciò che mancò per le altre armi: l’emanazione di disposizioni di condotta dopo l’armistizio da parte del governo Badoglio, che in gran parte furono rispettate. Le navi dovevano salpare e consegnarsi ai nuovi alleati.
Nelle memorie del ministro della Marina ammiraglio Raffaele de Courten e nelle ricostruzioni storiche c’è tutto il dramma e la sofferenza di quelle ore. Il ministro scrisse della “manifestazione più chiara dello spirito di dedizione alla patria che ha animato tutto il personale della Marina”[6].
Le scelte furono sofferte, e attuate con contraddizioni: ma la sostanza fu questa. Il 63% della flotta seguì le regole armistiziali. Anche la corazzata Roma, che fu colpita da bombe lanciate da aerei tedeschi e affondò al largo dell’isola dell’Asinara: oltre 1.300 marinai persero la vita.
Chi parla di “morte della patria” non tiene conto non solo del patriottismo dei primi antifascisti e dei popolani – come il tellarese Giovanni Pelosini – che raccoglievano le armi abbandonate, magari ancora senza uno scopo preciso, ma anche della forma peculiare di patriottismo espressa da gran parte della Marina.
Certamente vi furono, nella Marina, forze contrarie all’armistizio. La più significativa fu la flottiglia Mas di Borghese, che passò al servizio dei tedeschi e si rese responsabile di crimini orrendi contro i partigiani e i civili che li sostenevano. Fu a Lerici, nel piccolo salotto dell’Hotel delle Palme, dove era ospitata la famiglia di Borghese, che nacquero lo scudetto della X Mas, suo emblema, e l’inno, il cui testo fu improvvisato da Daria, moglie di Borghese.
Ma il capitano del CREM Renato Mazzolani venne alla lotta partigiana da quella stessa caserma del Muggiano dove operava Borghese. Occupata la caserma dai tedeschi, raggiunse la sua abitazione e si diede a costituire il Fronte Clandestino della Marina, che nel 1944 fu autore di numerosi sabotaggi. Mazzolani fu componente militare del CLN e comandante delle Sap, Squadre di azione patriottica, nel golfo. Il 20 dicembre 1944 cadde nelle mani dei nazifascisti. Sottoposto a due mesi di torture, il 20 febbraio 1945 si impiccò in cella per non parlare. Il gruppo Sap assunse il suo nome. Il 23 aprile 1945, sulla base delle direttive del Comando della IV Zona Operativa, le Sap composte da uomini della Marina occuparono alla Spezia tutti gli uffici pubblici, prima che arrivassero gli Alleati e i partigiani dai monti.
Giorgio Pagano
[1] Prefettura, Gabinetto, b. 81, fasc. 1, Archivio di Stato della Spezia.
[2] Ibidem.
[3] Mauro Bordogna (a cura di), Junio Valerio Borghese e la X Flottiglia Mas, Mursia, Milano 1995, p.23.
[4] Ivi, p. 24.
[5] AA.VV, La Marina dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto, USMM, Roma 1971, p. 63.
[6] Raffaele De Courten, Le memorie, USSM, Roma 1993, p. 279.
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