La Resistenza a Lerici /3
Storia del Fodo, dove si stampava nascosti in una cisterna
Lerici In 1° novembre 2023
Riprendiamo la lettura della testimonianza rilasciata nel 1964 da Tommaso Lupi, comunista lericino tornato dal confino nell’ottobre 1943 e incaricato di dar vita a una tipografia clandestina per il partito e il CLN. Si tratta di un dattiloscritto intitolato “La stampa clandestina antifascista e antinazista alla Spezia. Dal novembre 1943 al settembre 1944 (Storia di una tipografia)”. Lupi e i suoi compagni erano appena arrivati, nel novembre, in una villa alla Rocchetta, al Fodo:
“La Villa apparteneva ad una nobile famiglia di conti, la cui ultima discendente aveva sposato un avvocato di Carrara che aderiva al movimento antifascista. Interpellato, diede il suo consenso a metterla a disposizione.
La Villa era composta di due piani e sotto le cantine. Vi era un’ampia cisterna di acqua piovana con rubinetti interni in cucina. Ad un lato della casa vi era un’antica cappella gentilizia in piena efficienza, ove gli antichi padroni, durante la loro permanenza estiva, facevano dir messa dal parroco della Serra. La casa era circondata da un vastissimo parco di alberi secolari, che nascondevano addirittura la casa per buoni tre quarti. Si accedeva alla Villa attraverso un’antica mulattiera, e soltanto a cinquanta metri di distanza ci si trovava di fronte al fabbricato, come un’improvvisa scoperta. Si entrava da un cancello di ferro e si entrava in casa dopo aver attraversato un grande spiazzo, una specie di ‘aia’ pavimentato da grandi lastre di pietra, ed in centro a questo vi era un’apertura quadrata coperta con una pietra. Da questa apertura ci si calava dentro una grande cisterna asciutta e da molti anni fuori uso.
Ma ritornando alla macchina tipografica, era una vecchia pedalina ma ancora in ottime condizioni e vi si poteva stampare regolarmente anche dei giornali a formato ridotto.
I compagni che erano stati incaricati di questo acquisto avevano provveduto a comperare una grande quantità di caratteri tipografici di varie misure, ‘nuovi di zecca’ e pertanto mai usati. Feci costruire diversi appositi cassetti con i vari comparti e stabilimmo chi dovevano essere i compagni che avrebbero mantenuto il collegamento diretto con noi per il rifornimento della carta, inchiostro, ecc.; per le direttive e il materiale da stampare e per il ritiro della stampa prodotta. I compagni scelti furono Armando Isoppo e Alfredo Ghidoni, residenti nel Comune di Lerici e che erano dei bravi attivisti del movimento comunista e antifascista. La macchina la installammo nelle cantine e dopo alcuni giorni di prove e di preparativi stampammo il primo manifestino che era un appello ai lavoratori delle fabbriche, alla popolazione, alle donne, ai giovani. Specie a questi ultimi erano rivolti degli appelli particolari per la loro adesione alle formazioni partigiane e per non aderire alla chiamata della RSI[1]. Si iniziò pure a stampare alternativamente ‘L’Unità’ in quattro paginette e anche per il Comitato di Liberazione Nazionale di La Spezia che aveva iniziato la sua attività.
Erano migliaia e migliaia di copie di volantini, di giornaletti, di appelli che alimentavano la lotta; validi strumenti di informazione e di direttive politiche che penetravano ovunque; nelle fabbriche, nelle case, nei locali pubblici.
La macchina quando era in moto faceva un certo rumore e ce ne preoccupavamo per il fatto che la strada mulattiera passava proprio davanti alla casa e, facendo alcune prove, dalla strada si sentiva il rumore. Rari erano quelli che transitavano da quella strada perché tutti ormai si servivano di quella carrozzabile per andare alla Rocchetta, ma il pericolo esisteva anche se stampavamo negli orari più idonei. Studiammo pertanto di cambiare posto e decidemmo di collocare la macchina entro la grande cisterna fuori uso che si trovava sotto il grande spiazzo sopra citato. Decidemmo di turare la vecchia apertura e di crearne una ex novo. Questo spiazzo era stato formato da un terrapieno che tutto attorno era circondato da mura. Stabilimmo di bucare un muro di fianco e di scavare una galleria orizzontale che ci portasse direttamente alla cisterna; cosa non molto difficile perché si trattava di terra riportata, e la cosa più difficile fu bucare il muro della cisterna che era fatto in piena regola di pietra calcarea e di una buona calce che era diventata più dura del cemento. Ci vollero parecchi giorni per bucare questa parete, per collocare la galleria sotterranea, per collocare la macchina e per chiudere l’apertura superiore. Riprendemmo a stampare. Poiché eravamo privi di corrente elettrica, adoperavamo una lampada acetilene che andava a carburo e che, per dir la verità, non funzionava troppo bene; a volte sembrava che si spegnesse, a volte sprigionava una luce accecante.
Il lavoro aumentava e forti e pressanti erano le richieste del partito e del CLN”[2].
A dare una mano alla tipografia c’erano anche le donne. Come Lina Isoppo, sorella di Armando e moglie di Alfredo Ghidoni. Leggiamo il racconto della figlia Graziella:
“In quel periodo mio padre talvolta portava a casa dei pacchi di cui inizialmente non conoscevamo il contenuto, in seguito lui ci informò che si trattava di risme di carta. La sera, dopo cena, quando faceva buio egli si allontanava da casa con uno zaino sulle spalle in cui aveva riposto parte di quelle risme, rientrava qualche ora dopo portando nello zaino altri pacchi del cui contenuto la mamma fu messa al corrente. Si trattava di stampa clandestina che, sotto la forma di volantini, veniva distribuita nelle fabbriche della città. Chiaramente si trattava di propaganda antifascista. Talora la carta arrivava con il vaporetto che faceva servizio tra Lerici e La Spezia, con la complicità di un marinaio che provvedeva a scaricarla sul pontile di attracco; la mamma, dopo averla presa in consegna, tornava a casa mescolandosi con gli operai e i passeggeri che erano scesi dal battello. Spesso, dopocena, quando mio padre con il suo carico usciva di casa, ci univamo a lui per un buon tratto di strada lungo la collina, poi ci salutavamo, e mentre la mamma e io tornavamo a casa, lo vedevamo allontanarsi nel crepuscolo con il suo passo cadenzato, curvo sotto il peso che aveva sulle spalle”[3].
Alla storia di Lina e di Alfredo sarà dedicata una delle prossime puntate.
Giorgio Pagano
[1] La Repubblica Sociale Italiana nacque il 23 ottobre 1943 nell’Italia occupata dai tedeschi, per volontà di Hitler e di Mussolini. La chiamata ai giovani era ad arruolarsi per combattere con i fascisti e i nazisti. Gran parte dei giovani fu renitente e si nascose. Molti diventarono partigiani.
[2] Tommaso Lupi, La stampa clandestina antifascista e antinazista alla Spezia. Dal novembre 1943 al settembre 1944 (Storia di una tipografia), AILSREC, FG1, B1, F3.
[3] Graziella Ghidoni, La siepe di Bosso, Grafidea, La Spezia, 2003, p. 47.
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