La Resistenza a Lerici /1
Dal 25 luglio all’8 settembre 1943. L’uccisione di Giovanni Pelosini e il ritorno di Tommaso Lupi
Lerici In 1° settembre 2023
Ottant’anni fa iniziò la lotta di liberazione dal nazifascismo. Anche Lerici, che nella Resistenza spezzina ebbe un ruolo rilevante, deve ricordare. Nei prossimi mesi “Lerici In” racconterà le storie dei tantissimi lericini che hanno combattuto per la libertà: non sarà solo un omaggio doveroso ma anche una ricostruzione storica che ci porterà a riflettere su quanto sia importante questa pagina di storia. La Resistenza fu un’esperienza difficile, fragile, romantica, coraggiosa. Ma nonostante tutto è lì, e riemerge come un appiglio. Ci ha dato la Costituzione, che ha fondato la nostra democrazia e le ha consentito in tutti questi anni di reagire a crisi profondissime. La Resistenza è la cosa migliore che abbiamo avuto, e che abbiamo.
La guerra fu decisiva nel crollo del fascismo. Le sconfitte di Germania e Italia ad opera dei sovietici e degli angloamericani tra fine 1942 e inizio 1943 comportarono un cambio netto nell’opinione pubblica, che sempre più desiderava la pace e si allontanava dal fascismo. La crisi militare accelerò la crisi politica, fino al colpo di stato del 25 luglio 1943. Le forze antifasciste erano ancora deboli, anche se c’era stato, in alcune città, lo sciopero operaio del marzo. L’iniziativa per destituire Benito Mussolini fu presa dal re, dall’esercito e dalla maggioranza dei gerarchi fascisti. Il popolo gioì scendendo in strada e scalpellando i simboli del fascismo.
Dino Grassi, allora giovanissimo operaio del Cantiere Muggiano residente a San Terenzo, così ricorda la sera del 27 luglio a Pitelli:
“Ho ancora ben chiara nella memoria l’immagine della prima sera di quel giorno a Pitelli: popolazione per la strada ad applaudire gli antifascisti che muniti di scale, picconi e mazze rimuovevano e frantumavano le insegne fasciste”[1].
Pitelli era allora il borgo spezzino dove i giovani e gli operai erano soliti radunarsi. Un rapporto dei carabinieri steso il 28 luglio conferma il ricordo di Grassi:
“Verso le 21,30 di ieri in Pitelli una massa di circa 2 mila persone, costituita da uomini, donne, bambini, si è improvvisamente riunita portandosi subito alla locale sede del fascio rionale, davanti al quale hanno inneggiato alla Maestà del Re Imperatore, a S. E. Badoglio ed alle Forze Armate. Parte di tale massa riversatasi poi all’interno del caseggiato, ha distrutto mobili, quadri e tutto quanto vi era custodito. Molti documenti gettati sulla strada attraverso le finestre sono stati successivamente distrutti col fuoco… Non si sono verificati atti di violenza alle persone”[2].
La manifestazione di Pitelli fu la più partecipata. Se ne tennero, in quei giorni, molte altre: lo stesso 27 luglio al Muggiano, il 28 a San Terenzo – dove tre fascisti, con il benestare del segretario, hanno trasportarono dalla loro sede registri che poi incendiarono –, alla Serra e a Pugliola.
I manifestanti speravano di raggiungere i loro obiettivi in tempi molto brevi. Ma il nuovo governo, presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio, fu una dittatura militare. Il 29 luglio, nel corso di una pacifica manifestazione dei lavoratori spezzini, ci furono due giovani vittime: Rino Cerretti ucciso dai marinai, Nicolina Fratoni dai fascisti.
Il governo Badoglio durò quarantacinque giorni, e si schierò ancora al fianco dei tedeschi, fino al baratro dell’8 settembre: l’armistizio tardivo, preceduto dalla vigliaccheria e dall’incapacità di accettare la mano tesa degli alleati che l’armistizio lo proponevano da tempo; la fuga del re e dei militari nel Sud già liberato dagli alleati e i soldati e i cittadini abbandonati da ogni autorità; l’occupazione tedesca del Nord del paese, non contrastata dall’esercito; la liberazione di Mussolini e la costituzione della Repubblica di Salò, uno strumento al servizio dei tedeschi, nel quale rivisse lo squadrismo delle origini. La nostra classe dirigente si rifiutò di incamminare il paese sulla strada della democrazia, con esiti tragici.
Il paese si risollevò con la Resistenza, che all’inizio fu un moto morale, esistenziale, solo in seguito un moto politico in senso stretto. L’8 settembre ci furono soldati che resistevano nonostante l’abbandono dei vertici. Anche a Lerici. Leggiamo la testimonianza del giornalista Duilio Biaggini:
“Dalla strada di Sarzana truppe someggiate [tedesche, NdA] giungevano a Lerici avendo ragione del nucleo di marina, che aveva in precedenza autoaffondato i Mas della flottiglia. I tedeschi occupavano le scuole per alloggiamenti, e si accampavano prima nelle piazze e poscia in villette già sedi di comandi militari”[3].
Subito dopo l’8 settembre molti popolani si misero a raccogliere armi abbandonate, ancora senza un obiettivo preciso. Tra loro c’era Giovanni Pelosini, ventenne di Tellaro, che recuperò nell’amegliese, in località Montemurlo, insieme ad alcuni amici, armi abbandonate dai reparti alpini della divisione Alpi Graie sbandatasi nella zona. Sorpreso dai tedeschi, Pelosini tentò la fuga ma venne gravemente ferito da colpi di armi da fuoco. Morì all’ospedale di Sarzana. Fu uno dei primi caduti della Resistenza spezzina.
I vecchi antifascisti ritornavano dal carcere o dall’esilio e tenevano riunioni di partito. Tra loro il comunista lericino Tommaso Lupi, operaio del Cantiere Muggiano. Come vedremo nel prossimo numero, Lupi rientrò nell’ottobre 1943 e partecipò a una riunione del PCI spezzino, che gli affidò il compito di organizzare il partito e la lotta a Lerici e di impiantare una tipografia clandestina, per poter stampare il materiale occorrente al PCI e agli organismi unitari (CLN) che si stavano costituendo. Il luogo prescelto fu una villa del Fodo, alla Rocchetta.
Giorgio Pagano
[1] Dino Grassi, Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista, Edizioni ETS, Pisa, 2023, p. 23.
[2] Prefettura, Gabinetto, b. 100, fasc. 3, Archivio di Stato della Spezia.
[3] Prefettura, Gabinetto, b. 81, fasc. 1, Archivio di Stato della Spezia.
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