Votare è indispensabile…ma dobbiamo fermarci per guardare il mondo con altri occhi
L’ecoapuano
settembre 2022
La riflessione sulle prossime elezioni non può che partire da una amara constatazione: nei collegi uninominali ci sarà un solo candidato su cui si concentreranno i voti della destra, mentre i voti di tutte le altre forze politiche saranno divisi tra una molteplicità di candidati. In queste condizioni è altamente probabile che la destra “faccia cappotto”. L’esito è il frutto di una precisa scelta politica del Pd, che ha rotto l’intesa stipulata con il M5S accettando la sconfitta. Una scelta così apparentemente inspiegabile deve avere una ragione profonda. A mio parere sta nel fatto che il Pd, partito dell’establishment, ha ritenuto il “nuovo” M5S guidato da Giuseppe Conte “inaffidabile” rispetto al binario unico, liberista e atlantista, predicato dall’establishment stesso. Il Pd si è quindi sacrificato sull’altare dell’”agenda Draghi” e della Nato, cioè di tutto un mondo economico e politico – che ha in mano la quasi totalità dei media – che non gradisce la partecipazione al governo di una forza che non è certamente “rivoluzionaria” ma che ha avuto l’impudenza di non obbedire a Draghi e a Washington.
La competizione elettorale, già vinta dalla destra nei collegi uninominali, si sposta quindi sul proporzionale, dove vengono comunque assegnati i 5/8 dei seggi, e dove il “voto utile” non conta. La novità è che a sinistra del Pd si collocano due formazioni che è bene facciano un buon risultato: il M5S e la piccola Unione Popolare.
Non è impossibile, perché una novità di questa campagna elettorale mi pare sia l’”indisciplina” verso il “voto utile” da parte di molti elettori di sinistra. Lo dimostra il piccolo campionario che segue di dichiarazioni di persone appartenenti alle componenti più diverse della sinistra. Ognuno di noi potrebbe aggiungere tante testimonianze simili, tutte all’insegna del “Non mi fido più di loro”.
Lanfranco Turci, già Presidente della Regione Emilia Romagna e Presidente della Lega delle Cooperative, è stato uno dei leader della corrente “socialdemocratica” del PCI. Su Facebook, dopo aver criticato i suoi ex compagni “passati da comunisti a liberali senza neppure rendersene conto”, ha scritto: “Tutto spinge, per chi vuole cercare una chance a sinistra anche se con incerte speranze, a orientarsi verso Unione Popolare o 5 Stelle”.
Stefano Fassina proviene anch’egli dal PCI, su posizioni più di sinistra. Deputato uscente di Leu, questa volta non si ripresenta perché considera la rottura con il M5S “il male assoluto”. Ha dichiarato a “Repubblica”: “Nelle proposte dei 5S trovo le priorità per le quali ho combattuto in questi anni, e che dovrebbero essere al centro dell’agenda progressista”.
Isaia Sales, tra i politologi più noti, già parlamentare Ds, vicino ad Antonio Bassolino, intervistato da “Il Fatto Quotidiano” si è espresso così:
“Io sono uno del Pd che non voterà il Pd. Dici che stanno arrivando i fascisti e metti in campo il campo più stretto possibile? Se lo dici, devi immaginare una larga coalizione. Invece che fai? Butti a mare il M5S col quale hai governato negli ultimi tre anni proprio quando questo movimento aveva virato a sinistra. Sta per arrivare la peggiore destra e ti allei con Di Maio invece di impedirgli di fare la scissione?”.
Ma anche nella sinistra più radicale sono emerse tesi consonanti. Augusto Illuminati, filosofo e fondatore di “Dinamopress”, voce dell’informazione indipendente a sinistra della sinistra, ha affidato a Facebook le sue “riflessioni settembrine”. Dice Illuminati che “la fine del governo Draghi è un sottoprodotto dell’offensiva convergente delle destre e del Pd per liquidare il M5S e spartirsene gli elettori”. Individua l’agenda che andava cancellata: dal reddito di cittadinanza all’opposizione all’invio delle armi in Ucraina. Queste le conclusioni: “L’astratta razionalità indurrebbe all’astensione, mentre il sentimento spingerebbe a simpatizzare con il volenteroso entusiasmo di UP-De Magistris […] Tuttavia, avrei molti rimorsi, dopo la vittoria di Meloni, per essermi astenuto e non me la sento di replicare l’ennesimo voto testimoniale, sopra o sotto il 3% […] L’unica formazione in grado di pesare politicamente a sinistra del Pd – per quanto confusionaria e neppure di sinistra – è al momento il partito di Conte, con le sue istanze pauperistiche e la sua riluttanza alla spesa militare e all’oltranzismo Nato”.
Ad oggi questo è anche il mio orientamento. Senza farmi troppe illusioni, perché so che la sinistra viene da un fallimento storico. Sono stato un dirigente di primo piano del PCI e dei partiti che gli sono succeduti. Nel 2007, terminato il mio secondo mandato di Sindaco, ho rinunciato a tutto e ho cominciato una nuova vita: cooperante internazionale, attivista, studioso di storia. Non ho aderito al Pd, e dal 2008 in poi il mio è sempre stato un voto “testimoniale”. A metà di questo quindicennio mi sono avvicinato per pochi mesi a un piccolo partito della sinistra radicale, ma ne sono subito fuggito perché, tra i dirigenti, ho conosciuto solo politicanti all’inseguimento dell’interesse personale. Esattamente come nel partito che avevo abbandonato, sopraffatto dal dolore per il crollo non solo politico ma anche morale del mondo in cui e per il quale avevo vissuto.
Isaia Sales, nell’intervista citata, dice anche: “Ho un’età alla quale fa schifo votare per un partito che coltiva in vaste aree del Paese il familismo”. La sinistra è stata sconfitta non solo perché è diventata liberale-liberista ma anche per la sua decadenza morale.
Ho ritrovato il mio dolore – quello di Sales e di migliaia di militanti – nei Diari di Bruno Trentin: un dolore, il suo, riferito non solo alla CGIL ma anche al PCI, ai suoi eredi e alla sinistra in genere. Si tratta di un documento, non destinato alla pubblicazione, che colpisce per drammaticità e radicalità, ma anche per autenticità. Nel 1990 Trentin, allora segretario nazionale della CGIL, confessava la sua “voglia tremenda di mollare tutto, di fuggire da un mondo che sento cosi miserabile ed estraneo, con la sua retorica della meschinità e la sua ideologia della casta e dell’autorità”. E ancora, nel 1993: “Non vedo l’ora di urlare e di dimostrare nei fatti la mia totale estraneità morale e culturale […] Piu presto lascio e meglio sarà”.
Dal 2007 ad oggi ho espresso pubblicamente gli stessi sentimenti, con argomentazioni del tutto simili, anche se con più pudore.
Ma non ho mai rinunciato a lottare, nelle “cellule locali della solidarietà e della cultura”. Bisogna ribellarsi allo stato di cose presenti e tenere insieme l’attenzione alla persona e la visione dell’avvenire. E bisogna anche cercare di vivere in modo diverso. La lotta è per cambiare la società e per cambiare la propria vita.
La “rivoluzione”, o meglio “conversione”, di cui abbiamo bisogno, non passerà dunque dalle urne elettorali. Votare è indispensabile, ma dobbiamo pensare a mettere le basi del mondo di dopo. E quindi riflettere soprattutto sui compiti che toccano a noi, cittadini attivi nella società civile, in quelle che lo storico Arnold Toynbee definiva le “crisalidi”, le forme sociali capaci di attraversare la fine di una civiltà per impollinarne una nuova. La storia non è finita, ma dobbiamo uscire dall’ansia di un presente senza storia e fermarci per capire e conoscere. Per studiare e ripensare tutto, e rimettersi all’opera, quando tutto è o pare perduto, ricominciando dall’inizio. Il filosofo Alfonso Maurizio Jacono ha scritto su “Passion&Linguaggi”: “Ma cos’è la meraviglia se non un fermarsi per guardare il mondo con altri occhi?”.
Giorgio Pagano
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