Un’agenda di urgenze per salvare i Comuni
La Repubblica – Il Lavoro – 9 gennaio 2012 – A proposito di primarie genovesi, fa riflettere la frase di Marta Vincenzi a Repubblica: “Chiunque può farcela, ma ad una condizione: la piena consapevolezza che <bambole non c’è una lira> non è una formula, è la realtà”. E rischia di essere sempre più la realtà futura. L’intervento del Governo Monti sui bilanci dei Comuni nulla cambia in termini di risorse disponibili, mentre il costo politico è molto pesante: se oggi i Comuni impongono un’aliquota media Ici del 5,2 per mille e nulla chiedono per le seconde case, domani con l’Imu pretenderanno il 4 per mille sull’abitazione principale e il 7,6 sugli altri immobili. Faranno, quindi, gli esattori per lo Stato.
Acquisita questa consapevolezza, la vera questione, su cui dovrebbero cimentarsi i candidati, è come reagire. Tre sono i terreni di azione. Il primo riguarda l’iniziativa per cambiare le politiche nazionali, nel nome della difesa dei beni comuni (welfare, sapere, ambiente…) e di un federalismo “vero”. I Comuni non hanno mai avuto così poca autonomia e così poche risorse come negli anni del federalismo “falso”, quello leghista. Ma ciò non deve significare buttare a mare un’idea che non è nata conla Legae che ha radici profonde nella storia nazionale, da Cattaneo a Bobbio, passando per il federalismo liberale di Rossi e Spinelli e l’autonomismo cattolico di Sturzo, fino al municipalismo socialista, che contaminò quello comunista (si legga il programma per le elezioni del 1946 del sindaco di Bologna Giuseppe Dozza: sul punto dei Comuni che “devono fare da sé” è attualissimo). Non a caso l’articolo 5 della Costituzione legò l’unità e l’indivisibilità della Repubblica al riconoscimento delle autonomie locali. Ma come riaprire questa partita? Con una proposta alternativa alla vulgata secondo cui la “ricentralizzazione” di questi anni è resa obbligatoria dalla crisi. E’ vero il contrario: che ripresa potrà mai esserci senza il contributo dei territori, senza gli investimenti locali, scesi del 19% dal 2009 al 2010? Una proposta che non deve limitarsi a difendere l’esistente, come è stato fatto in questi anni con le Province: che bisognava snellire il nostro barocchismo istituzionale dovevano dirlo i Comuni per primi!
Secondo punto: guai se i Comuni in difficoltà si mettono anche loro a fare i tagli lineari. Bisogna avere il coraggio di finanziare le priorità, cioè i beni comuni. E di rinunciare a quella miriade di azioni “simboliche”, importanti sul piano del segnale politico, della costruzione del consenso o per tenere in vita questa o quella struttura. I Comuni non possono più permettersi di frammentare la spesa in mille rivoli e di finanziare azioni che non sono fondamentali per il raggiungimento dei loro obbiettivi strategici, delle “mete” della città.
Il terzo punto è, appunto, la strategia. Che non si realizza, però, solo con la spesa pubblica: è decisiva la dotazione di capitale sociale. C’è bisogno cioè di una strategia condivisa, che valorizzi il protagonismo partecipativo e la cittadinanza attiva e crei le condizioni perché ognuno possa investire con fiducia le proprie risorse, economiche e civili, nei progetti della città. Lo ha ammessola Vincenzia Repubblica: il suo limite più grande è stato quello di non essere riuscita a “suscitare disponibilità e entusiasmi”. Ma governare significa oggi sempre più questo: far partecipare i cittadini alla cosa pubblica, coinvolgere e costruire visioni, dar vita al “sentimento di un’impresa comune”.
Giorgio Pagano
Popularity: 3%