Sinistra vincente solo se riesce ad aprire la porta alla società
La Repubblica-Il Lavoro – 9 Luglio 2012 – Finalmente si è aperto il dibattito sul centrosinistra del futuro. Sono intervenuti anche i Sindaci di Genova e Milano, Marco Doria e Giuliano Pisapia: l’alleanza “non può che essere quella che ci ha permesso di vincere le elezioni a Genova e a Milano”, un’alleanza “che non si chiuda in se stessa ma si apra al confronto con la società”, che “lavori sui contenuti” per dialogare con gli italiani e stabilire “rapporti non subalterni con forze moderate”, cioè con l’Udc. Intervento utile perché oggi l’alleanza di centrosinistra non c’è: è una coalizione territoriale che vince sì le amministrative, ma su un terreno friabile che può rapidamente sprofondare, perché non ha uno slancio innovatore e una proiezione nazionale. Il tema è stato posto con ancora maggior nettezza da Mario Tronti sull’Unità: “per un centrosinistra diverso è indispensabile una sinistra diversa”, occorre cioè “superare le due sinistre” nate dopo l’89, quella contestatrice e quella neoliberista, perché entrambe “fallimentari”, e aprire un processo unitario. E’ il punto su cui si è registrata la convergenza tra il leader di Sel Nichi Vendola (serve “una sinistra nuova e unitaria, moderna e legata alle sue radici vitali”) e il dirigente del Pd Nicola Latorre (occorre “unire i progressisti nello stesso soggetto politico”). Ora il dibattito deve concentrarsi sulla base programmatica e ideale della sinistra: il “lavoro sui contenuti” (e, aggiungo, su una carta dei valori) è indispensabile perché la sinistra sia un campo ben definito, che si allei e faccia un compromesso con l’Udc ma non ne sia gregario, non le consegni cioè, con una resa, la cifra culturale della coalizione.
La questione chiave è l’alternativa al paradigma del Governo Monti: un governo tecnico che è in realtà molto politico, con una filosofia ispirata al neoliberismo. La sua premessa è che il debito è causato dallo Stato sociale, non dalle speculazioni finanziarie sul debito. Ecco perché si smantellano i diritti sociali e l’idea stessa del lavoro come diritto. Il Pd ha tentato di condizionare da sinistra Monti ma il suo tentativo generoso è fallito. Da qui la sua difficoltà, perché un partito che sacrifica troppo a lungo i suoi valori e i suoi legami sociali finisce per soffocare (a meno che non opti, come propone Renzi, per la linea “dell’art. 18 non me ne po’ frega’ de meno”, cioè per la trasformazione del Pd in un partito compiutamente neoliberista). Ma è tutta la sinistra che arranca, perché va resa più chiara l’alternativa al neoliberismo: come rimettere al centro il lavoro e redistribuire la ricchezza, come tenere e riformare il welfare, come delineare un nuovo modo di produzione della ricchezza. Come ancorare cioè la tutela dei diritti alla redditività, in un Paese in declino le cui imprese perdono troppi colpi.
A guardare la scena italiana, preoccupa la permanente anomalia rispetto ai maggiori Paesi europei, nei quali i partiti di destra e di sinistra durano nel tempo e non vanno e vengono come da noi (dove restano solo i leader delle battaglie perse, su questo Renzi ha ragione). Eppure la crisi italiana non può che essere sfidata con agganci politici e culturali di tipo europeo. Dopo il governo tecnico serve il ritorno della politica europea. In questo modo anche la discussione programmatica e ideale nella sinistra sarebbe più facile: riconoscersi nel Partito Socialista Europeo e nell’obbiettivo degli Stati uniti d’Europa cambierebbe tutto. Anche se non basterebbe, perché la sinistra italiana deve caratterizzarsi anche per l’apertura alla partecipazione civica e per una rinuncia forte ai privilegi dei politici.
Giorgio Pagano
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