Se i partiti sperperano la fiducia dei cittadini
Repubblica – Il Lavoro – 17 Aprile 2012 – I risultati del primo sondaggio settimanale di Repubblica-Genova confermano ciò che emerge da tutte le ricerche: la disaffezione dei cittadini verso i partiti è ai massimi storici. La mia esperienza politica si è sempre svolta nei partiti; anche quando me ne sono distaccato e la mia postazione è diventata associativa e civica non li ho mai rinnegati, perché non riesco a concepire una democrazia senza i partiti. Sono convinto, però, che servano partiti profondamente diversi dagli attuali. La loro “quaresima” ha radici precise: la sensazione da parte dei cittadini che non esistano più i partiti come strumenti di promozione della partecipazione popolare attorno a valori e programmi, ma solo uomini che se ne servono per fini personali e di gruppo, o peggio ancora per far soldi. Lo so che non tutti i partiti sono uguali e che in ogni partito ci sono persone per bene e dedite agli altri, ma questa è la sensazione dominante. Se i partiti non recupereranno un rapporto con la società e se non daranno conto, grazie alla forza delle idee, della loro utilità per i cittadini e per il Paese, crescerà il discredito che li circonda. E l’alternativa sarà tra populismo e tecnocrazia: saremo governati o da un capo o da un’elite, al comando di un popolo in ogni caso subalterno e non partecipe.
Molto dipenderà da come i partiti affronteranno la questione del loro finanziamento. Senza arroccarsi, perché ciò segnerebbe la loro fine. Non basta assolutamente dire, anche se è giusto, che il finanziamento pubblico è necessario, a patto che sia trasparente e certificato. Perché il problema non è solo l’uso disinvolto dei soldi ma anche la loro entità, diventata insostenibile in tempi di crisi economica. L’attuale posizione dei principali partiti, che non si riducono un euro di rimborso, è del tutto insufficiente a ricreare un clima di fiducia con i cittadini ed è quindi un grande regalo ai nemici dei partiti stessi. La cifra dei rimborsi elettorali è eccessiva e non più sopportabile: è indispensabile un forte atto simbolico, una norma che almeno dimezzi i finanziamenti, come propone per esempio Pierluigi Castagnetti. Del resto le vicende di Lusi e della Lega hanno dimostrato che, al netto delle spese elettorali, c’è un residuo sproporzionato delle risorse disponibili per i partiti. E se ai partiti serviranno più soldi rispetto ai rimborsi dimezzati, dovranno risolvere il problema con le contribuzioni volontarie di iscritti e sostenitori.
Guai se i partiti perderanno anche questa occasione, dopo quella sciupata quando esplose la polemica sugli stipendi dei parlamentari e dei consiglieri regionali. Il Pd, in particolare, doveva aderire alla proposta fatta allora su Repubblica da un vecchio riformista come Mario Pirani: una grande battaglia di massa sul dimezzamento retributivo delle cariche politiche nazionali e locali, senza escludere l’atto unilaterale in assenza di accordo con gli altri partiti. Una svolta radicale sempre possibile: basta volerlo, superando ogni sindrome autodistruttiva.
C’è poi un altro passaggio decisivo: la nuova legge elettorale. Guai a dare anche solo l’impressione di volere escludere ancora i cittadini dalla possibilità di scegliere i parlamentari; e di pretendere una delega in bianco per scegliere dopo il voto le alleanze di governo. Non capire che i cittadini vogliono contribuire, con il loro voto, a scegliere sia i loro rappresentanti che le maggioranze di governo sarebbe un altro tragico errore.
Un’ultima considerazione: anche se gli euro ai partiti fossero pochi, potrebbero essere considerati troppi se i partiti non sapessero dimostrare la loro utilità. Nei prossimi mesi le condizioni economiche generali peggioreranno: cresceranno la disoccupazione, la povertà e le diseguaglianze. La sfiducia nei partiti nasce anche dalla loro incapacità di cambiare in meglio le condizioni di vita di lavoratori dipendenti e autonomi, pensionati, giovani. Il futuro dei partiti dipenderà soprattutto dalla risposta a questo problema.
Giorgio Pagano
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