Le primarie del Pd e la sconfitta di Burlando. Istruzioni per l’uso
La Repubblica-Il Lavoro – 28 febbraio 2014 – Hanno una qualche ragione i commentatori che hanno visto nell’elezione di Giovanni Lunardon a segretario regionale del Pd una sconfitta del Presidente della Regione Claudio Burlando. Il grande impegno di Burlando a sostegno del perdente, Alessio Cavarra, avalla questa interpretazione. Ma è sbagliato trarne l’indicazione che il candidato che il Presidente uscente sosterrà nelle primarie sia condannato alla sconfitta. Sia perché Lunardon ha prevalso di poco; sia perché alle primarie per il candidato alla Presidenza della Regione, e soprattutto alle “secondarie” del 2015, parteciperanno molti più votanti degli appena ventimila coinvolti il 17 febbraio. Il motivo vero è però un altro, e ha a che fare con la natura del Pd. Il Pd, come ha scritto il suo senatore e direttore del Centro per la riforma dello Stato Walter Tocci è, almeno nei quadri intermedi e dirigenti, un esempio da manuale del modello del “party in office” descritto dalla politologia: “un partito di amministratori, gestore delle compatibilità economiche, adagiato nelle pieghe della spesa pubblica, incapace di parlare ai tormenti della società e tanto meno di felicità”. In questi anni è andato avanti un lungo processo di “statalizzazione” della politica (esito singolare in un’epoca che ha voluto privatizzare ogni cosa!): il ceto politico vive attaccato come le cozze all’amministrazione pubblica, traendone quasi esclusivamente le risorse finanziarie e umane. E’ chiaro che la politica, da questa posizione “statalizzata”, non riesce più a parlare ai bisogni della vita. Certo, accanto a questa struttura sterile abitano due risorse preziose, sia pure sempre più indebolite: il volontariato dei militanti e l’elettorato. Ma entrambe queste risorse, se devono scegliere tra figure tutte dentro il percorso della politica “statalizzata” e dell’occupazione di potere nell’amministrazione, alla fine preferiscono la figura che meglio esprime questo percorso. E’ chiaro, allora, che in questo contesto un assessore regionale (si discetta di più nomi, ma il discorso vale per tutti), per di più se capace e “benedetto” dal Presidente uscente, ha più chances di ogni altro candidato: per relazioni politiche ed economiche con i territori e per visibilità.
La richiesta di un “cambio” certamente esiste nella società, al di là dei tanti buoni risultati della Giunta di Burlando: è nello “spirito del tempo”. Ma vincerà solo se troverà un interprete coerente. L’unica possibilità di un “cambio” è quella che fuoriesce dalla logica dell’amministrazione, fa esodo dalla “statalizzazione” e ricolloca la sinistra nel vivo della società. Per dirla con il politologo Piero Ignazi: il “cambio” può esserci solo con una politica che riprende a mediare tra Stato e società, abbandonando il modello del “cartello elettorale stato centrico” in cui il Pd è degenerato. Solo un candidato che organizzi la creatività sociale e parli ai bisogni della vita può dunque dare voce allo “spirito del tempo”. Riuscirà la sinistra ligure a esprimere una figura e un campo di forze capaci di ridare il senso di una speranza collettiva e di elaborare una “visione” che “non si accontenti” dell’amministrazione e faccia immaginare e sognare un’altra Liguria? Che sappiano inventare un “populismo” sereno, creativo, solidale, a sostegno di riforme che migliorino la vita dei liguri, e che riescano in tal modo a smuovere i loro sentimenti e a creare un altro immaginario collettivo? La partita per la Presidenza della Regione è aperta: ma solo se sarà giocata da qualcuno in un altro campo di gioco rispetto a quello oggi dominante.
Giorgio Pagano
Popularity: 3%