La rinascita per la cultura l’ultima sfida per Genova
La Repubblica Il Lavoro – 21 Maggio 2012 – I vent’anni del Porto Antico e di Palazzo Ducale sono un’occasione di riflessione sulla straordinaria rinascita culturale di Genova, di cui allora furono poste le basi decisive. Come mantenere e sviluppare l’esistente, di fronte al problema di risorse sempre più scarse a causa dei tagli pubblici alla cultura e delle difficoltà di bilancio degli enti locali? Il dibattito di questi mesi ha largamente convenuto su un punto: occorrono un di più di regia e di coordinamento e nuovi modelli gestionali, per superare la frammentazione, razionalizzare, fare economie di scala, scegliere le priorità. Per fare sistema tra le istituzioni e tra pubblico e privato. In questa rete da costruire è mancato, però, un interlocutore essenziale: la Regione. Non è solo una questione di soldi, ma anche di progetti e di idee. Altre esperienze ci dicono che le Regioni possono giocare un ruolo essenziale nel coordinamento dei progetti, nell’organizzazione dei circuiti, ecc. Va nella direzione giusta la recente proposta dell’assessore Berlangieri di dar vita a un grande progetto regionale sulla cultura, da presentare in Europa per i finanziamenti (che saranno sempre più destinati a progetti integrati d’area vasta). Aggiungo: perché non fare come in Puglia, prevedendo che chi fa cultura possa partecipare ai bandi per i finanziamenti europei alle imprese? La creatività culturale è un’impresa, che va supportata al pari di quella artigianale o commerciale.
La riflessione, inoltre, deve puntare a un salto di qualità per Genova verso quell’economia “creativa” di cui parla Marco Doria nel suo programma: il che significa sia supportare i nuclei già presenti in città perché crescano e facciano “massa critica”, sia attrarre energie creative dall’esterno, accogliendo artisti, intellettuali e imprenditori della cultura che amino vivere e lavorare a Genova. Come hanno fatto Berlino o Cracovia, per fare qualche esempio. Quel che serve è favorire l’innovazione culturale legata alla contemporaneità: con “centri per la creatività” che offrano servizi, spazi, incentivi; con sportelli pubblici per l’accesso ai finanziamenti da parte degli operatori culturali; con fondi di garanzia per l’accesso al credito, in collaborazione con le banche; con il sostegno a forme alternative di finanziamento come il “crowdfunding” (la raccolta di contributi da comunità di donatori, soprattutto attraverso il social web); con l’attenzione alla sperimentazione di forme di nuovo mutualismo e di co-working, cioè ai bisogni emersi nelle esperienze del Teatro Valle a Roma e della Torre Galfa a Milano. Sportelli, fondi di garanzia, forme di finanziamento: adopero termini che indicano strumenti per i lavoratori autonomi proprio per suggerire una svolta capace di intendere davvero la creatività culturale come uno dei “motori dello sviluppo”. Una svolta di questo tipo è essenziale per costruire l’identità culturale della Genova del futuro, che non potrà che essere internazionale e “meticcia”, in continuità con la sua grande storia.
A monte di tutto questo, della “cultura nella città”, deve esserci la “cultura della città”: della città come polis, luogo in cui sostare e riconoscersi, dimora, spazio della cura, delle relazioni sociali e della reciprocità. La cultura della città come spazio pubblico, che riconquista la dimensione sociale della pianificazione urbanistica, che crea le piazze e non le abbandona alle auto, che non trascura le periferie, e in cui il pubblico collabora con un privato mosso anche dalla responsabilità sociale. Porto Antico, che come dice Renzo Piano è “l”unica vera piazza di Genova”, e Palazzo Ducale furono frutto di questa “cultura della città”, espressa allora dal Sindaco Fulvio Cerofolini e dal suo vice Giorgio Doria. Una cultura “altra” rispetto all’ideologia della privatizzazione degli spazi e dei servizi, della segregazione e della solitudine. Una cultura oggi espressa da Marco Doria, figlio del “marchese rosso”. Senza questa “cultura della città” la “cultura nella città” troverebbe spazio solo residuale.
Giorgio Pagano
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