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La “conquista” dei fiumi è questa l’ultima emergenza

a cura di in data 18 Novembre 2011 – 15:24

La  Repubblica-Il Lavoro – 18 novembre 2011 – La tragedia che ha colpito il Levante ligure ha rivelato che la “questione del territorio” è la più grave di tutte. E ci impone due riflessioni di fondo. La prima riguarda la foce dei fiumi Vara e Magra: aree in perenne sofferenza perché nel corso degli anni gli insediamenti umani hanno progressivamente “conquistato” le zone attigue ai fiumi. A questo punto non possono esserci dubbi: occorre rivedere i Piani di bacino e riperimetrare le aree esondabili; e, nel frattempo, predisporre piani di salvaguardia che blocchino nuovi insediamenti, anche se già approvati. Il caso più eclatante è quello del mega centro commerciale di Brugnato, che sta per essere costruito in un’area attigua al Vara, già dichiarata in parte come esondabile dal Piano di bacino in vigore. O si interviene, o si rischia l’ennesima “tragedia annunciata”.
La seconda riflessione riguarda le Cinque Terre e la Val di Vara. In queste aree la cementificazione scriteriata c’entra molto meno, al di là di criticità che pure esistono. La parola chiave è “ritorno alla terra”. Lo ha raccontato Michele Serra su Repubblica: l’abbandono di campi, crinali e montagne ha indebolito a morte il territorio, rendendolo sempre più esposto agli incendi e alle alluvioni. Ciò che serve è “un patto per la prevenzione e il recupero”, che impegni Governo, Regioni, Autorità di bacino, Province, Comuni, associazioni, sindacati, giovani nella sola grande opera di cui c’è bisogno: gli interventi diffusi per rendere sicuro il territorio. Serra si chiede: “E’ una fatica che siamo ancora in grado di affrontare, non solo come classe dirigente, ma come cultura diffusa, come idea corrente del Paese?”
Non è affatto facile, perché per decenni la sventatezza nella gestione del suolo si è accompagnata all’emarginazione dell’agricoltura. Chi coltivava non è stato aiutato a restare, e ai giovani è stato dato il messaggio che la cosa più sensata da fare è correre nella pianura di Villettopoli e degli outlet. Ma a chi dice che “i giovani non sono più disponibili” bisogna rispondere che una cosa è chiedere a un ragazzo di fare il boscaiolo o il contadino, tutt’altra cosa è chiedergli di partecipare, con un suo ruolo, a un grande progetto di rinascita. Un progetto complessivo che realizzi simultaneamente tutte le iniziative di valorizzazione dell’entroterra, affinché facciano massa critica: agricoltura, manutenzione, energie rinnovabili, turismo sostenibile, enogastronomia, artigianato, cultura. E che incentivi economicamente il ritorno alla terra, perché l’agricoltore è colui che mentre produce si prende cura del paesaggio, delle acque e del suolo, della salute e della cultura della sua comunità. Tutti beneficiamo degli effetti del suo lavoro, per questo dobbiamo “ringraziarlo” remunerandolo. Negli Stati Uniti, dove sono state aperte 300.000 aziende agricole negli ultimi anni, Obama ha varato un programma che incoraggia i giovani, con detassazioni e finanziamenti agevolati, a diventare agricoltori. Ancora: in Italia i giovani sono il 2,9% del totale degli agricoltori, mentre in Francia e Germania la percentuale sale al 7,5%.
Sono dati che dovrebbero calamitare l’attenzione dei nostri amministratori. Il loro compito è battersi per una ricostruzione di Cinque Terre e Val di Vara che abbia il segno di un nuovo modello di sviluppo. L’Università potrebbe supportare questa riflessione realizzando, come suggerisce lo storico Piero Bevilacqua, una Maison méditerranéenne des sciences de l’homme analoga a quella di Aix-en-Provence: un luogo dove i giovani geografi, storici, architetti, geologi, economisti facciano dialogare i diversi saperi e ci aiutino a superare l’utilitarismo economicistico che ha portato a far franare territori e economie.

Giorgio Pagano

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