Genova – Reggio quarant’anni dopo la battaglia operaia
La Repubblica – Il Lavoro – 23 Ottobre 2012 – Quarant’anni fa, il 22 ottobre 1972, mille metalmeccanici genovesi si imbarcarono su una nave diretta a Reggio Calabria per partecipare alla manifestazione promossa dai tre sindacati dei metalmeccanici, dei tessili, dei chimici e degli edili, e dai braccianti della Cgil. Dopo la rivolta populista guidata dai fascisti dei “boia chi molla” nel ’70, la manifestazione serviva a ribadire la “forza della democrazia”, sfidando bombe e intimidazioni di ogni sorta. Quel viaggio notturno in nave, o in treno da altre parti d’Italia, resta una delle iniziative operaie più importanti ed emozionanti della recente storia italiana. Non a caso è stata l’arte a immortalarla, dal libro “Nord e Sud uniti nella lotta” dell’operaio-scrittore genovese Vincenzo Guerrazzi, alla canzone di Giovanna Marini “I treni per Reggio Calabria”. I lavoratori del Nord non volevano dare alcuna “lezione” a Reggio, ma difendere dalla prepotenza i loro compagni della fabbrica Omeca, riconquistare la libertà di riunione e di associazione e, soprattutto, ricostruire l’unità tra la gente del Sud e del Nord per obbiettivi comuni di riscatto. La notte della vigilia fu scandita da attentati di ogni sorta, e al mattino i fascisti occupavano il corso principale e i vicoli. Mentre i dirigenti sindacali litigavano sul da farsi, a rompere ogni indugio -ha raccontato Bruno Trentin, allora segretario Fiom- fu un vecchio funzionario della Questura che disse loro pacatamente: “Decidete come meglio credete, ma se non attraversate questo corso, voi qui non metterete più piede per molti anni”. Senza aspettare altro, gli operai reggini dell’Omeca presero la testa del corteo al grido di “Nord e Sud uniti nella lotta”. Negli anni successivi Reggio e tutto il Sud tornarono ad essere luogo di manifestazioni per l’industrializzazione, la riforma del collocamento delle campagne, la lotta contro la mafia. Una nuova fase si aprì, fino all’appassimento e alla restaurazione degli anni ’80. E agli esiti attuali: proprio nei giorni scorsi il Consiglio Comunale di Reggio è stato sciolto per ndrangheta, dopo per altro aver intitolato il lungomare ai “boia chi molla” e al loro istigatore Ciccio Franco.
In tutti questi anni la questione meridionale è scivolata via dall’agenda nazionale. La seconda Repubblica è nata infatti sulla base di un patto scellerato: lo Stato non doveva più preoccuparsi del Sud, di unificare il Paese, di ridurre le diseguaglianze, poiché ogni intervento in questa direzione equivaleva a un furto al Nord. Ora, per costruire una nuova Repubblica, serve una controffensiva culturale che renda evidente quanto questa tesi sia del tutto falsa. Le difficoltà del Sud sono quelle dell’intero Paese, e il divario di produttività che permane con il Nord e la difficoltà a colmarlo sono dovuti alle medesime cause. Il Sud non basta al Sud, ma neppure il Nord basta al Nord. Non c’è politica per il Sud credibile ed efficace se non viene concepita come parte di un disegno riformatore nazionale, in grado di affrontare i nodi della crisi che investe l’intero Paese. Le proposte, rispetto a quarant’anni fa, ovviamente vanno cambiate: si pensi solo al rapporto industria-ambiente, simboleggiato dall’Ilva. Ma lo spirito di allora è ancora quello giusto: unità tra Nord e Sud, rilancio dell’Italia nel suo complesso e avvio di un meccanismo di integrazione tra le due macroaree del Paese, rinnovamento della classe dirigente al Sud come al Nord. L’Italia è cresciuta quando, come negli anni ’70, Nord e Sud hanno scelto di avanzare assieme. Quando, invece, la forbice si è allargata, l’Italia tutta si è distanziata dall’Europa.
Giorgio Pagano
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