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Un’altra economia e un nuovo modello di sviluppo dopo l’emergenza alluvione

a cura di in data 12 Novembre 2011 – 15:22

La Nazione – 12 novembre 2011 – Ora è il momento del lutto per le vittime del flagello e della vicinanza a coloro che soffrono e a  chi si adopera per loro. La priorità è ricercare le risorse, che oggi non ci sono, per l’emergenza e la ricostruzione. Ma dobbiamo riflettere sulle cause di fondo della catastrofe: essa ci impone, da qualunque aspetto la si voglia considerare, una svolta nel modello di sviluppo. Si prenda l’aspetto della crisi climatica, all’origine dei diluvi “monsonici” sempre più intensi: il carbone è in fase di esaurimento, mentre emergono i danni ambientali prodotti dall’anidride carbonica, responsabile dell’effetto serra. Il futuro dell’economia non è il carbone, ma l’edilizia sostenibile, le fonti rinnovabili, l’industria ad alta tecnologia. A Spezia siamo a un passaggio cruciale nella vicenda dell’Enel: possiamo affrontarlo al di fuori di questo contesto? Sarebbe sbagliato, perché privo di ogni visione del futuro.
Ancora: stanno venendo alla luce, sia nei terrazzamenti delle Cinque Terre che nei boschi della Val di Vara e della Lunigiana, le conseguenze drammatiche della scomparsa dell’immenso e secolare lavoro di cura e di controllo del territorio da parte dell’uomo. Le aree colpite possono rinascere solo con un grande progetto di sviluppo delle “economie locali” che realizzi simultaneamente tutte le iniziative di valorizzazione dell’entroterra, affinché facciano massa critica: agricoltura, manutenzione, turismo sostenibile, enogastronomia, artigianato, cultura. Centrale, in questo progetto, è l’agricoltura: il territorio non si salva senza la piccola agricoltura di qualità, che va incentivata economicamente perché il contadino è colui che mentre produce si prende cura del paesaggio e fa quindi l’interesse di tutti. La ricostruzione, quindi, non dovrà solo ridarci quel che c’era ma innescare la nascita di un’altra economia.
Un’agenda del nuovo sviluppo di Spezia deve partire da qui: sono solo due esempi di una sorta di New Deal, che veda nell’ambiente un formidabile motore di occupazione per i giovani. E’ il tema su cui riaprire la riflessione “strategica”.
Il futuro non è fatto solo di centri commerciali. Nei giorni scorsi il Corriere della Sera ha pubblicato una fotografia di Brugnato dall’alto: un cerchio giallo evidenzia un’area invasa dal fango, stretta tra il paese, l’autostrada, il torrente Gravegnola e il fiume Vara. Qui sta per sorgere un’enorme cittadella del commercio, che ha avuto il via libera da Regione, Provincia e Comune. C’è molto da ripensare, a Brugnato e altrove. Le sofferenze attuali delle aree vicine al fiume Magra, “conquistate” negli anni dalle case e dagli insediamenti commerciali e industriali, devono pur insegnarci qualcosa. C’è chi propone di modificare i Piani di bacino, riperimetrare le aree esondabili e  predisporre, nel frattempo, piani di salvaguardia che blocchino i nuovi insediamenti. Forse oggi la convivenza tra uomo e natura impone un passo indietro dell’uomo.

Giorgio Pagano
Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo

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