L’epopea dell’8 settembre – Intervista di Giorgio Pagano a “La Nazione” 7 settembre 2023
La Nazione, 7 settembre 2023
Intervista a Giorgio Pagano
Anche la Spezia visse con stati d’animo diversi, spesso contraddittori, la drammatica epopea dell’8 settembre. Pensa che ci siano pagine ancora da scrivere, o riscrivere, a distanza di 80 anni?
La città aveva 110 mila abitanti, ma erano assenti, perché richiamati in guerra, gli uomini di dieci classi (1913-1923). Molti combattevano all’estero. Gli adulti rimasti erano militarizzati nelle fabbriche belliche. Due terzi delle donne, dei bambini e degli anziani erano sfollati in campagna, in fuga dai bombardamenti. La sera dell’8 settembre, all’annuncio dell’armistizio, per qualche ora fu gioia: le colline si riempirono di falò, la speranza era che la guerra fosse finita. Il mito di Mussolini era già caduto tra fine 1942 e inizio 1943, con le disfatte in guerra. Ma c’era un senso di estraniamento e di delusione, che non poté non influire sullo spirito combattivo delle forze armate. Questo sentimento si trasformò progressivamente, anche se non in tutti, in rabbia e poi in dissenso politico. Lo storico deve cogliere la complessità dei comportamenti. Pensiamo all’assalto popolare alle caserme abbandonate dai militari per spogliarle di tutto: fu guidato dall’istinto di autoconservazione, ma anche dalla volontà di non lasciare la roba ai tedeschi che stavano per sopraggiungere. E che avrebbero fatto razzia di tutto. Sento il bisogno di raccontare ancora meglio quella che Italo Calvino definì l’Odissea dell’8 settembre: la rassegnazione ma anche la coscienza di altre possibilità. In questo senso l’8 settembre fu uno spartiacque, nel senso che crebbe sempre più questa coscienza nuova. Fu molto importante la scelta morale individuale. Nei giorni dell’Odissea rifulsero quelle che Giuliano Procacci definì “le virtù profonde e modeste, di gentilezza e di tolleranza, del popolo italiano”. Pensiamo alla solidarietà verso gli sbandati: a nessuno fu negato un abito borghese. Fu il più grande “travestimento di massa” della storia. Un aspetto da studiare di più, in particolare, è che nel caos la classe operaia rivelò i maggiori tratti di coesione interna. Questa tendenza degli operai a rimanere uniti e attivi sarà decisiva nella Resistenza.p>
L’8 settembre segnò l’inizio dell’occupazione tedesca a Spezia e nel resto d’Italia ma anche il nascere di quelle “resistenze” che contribuirono a conquistare le libertà democratiche. Ne furono protagonisti i partiti antifascisti e tanta parte della popolazione, ma ebbero un ruolo importante anche l’Esercito e la Marina. C’è qualcosa a suo giudizio, a proposito del ruolo delle forze armate alla Spezia che – 80 anni dopo – debba essere indagato più compiutamente?
I partiti antifascisti nel 1943 erano molto deboli. Il loro ruolo era più di attesa che di azione. Non a caso nella caduta di Mussolini, il 25 luglio, non ebbero alcun ruolo. Lo conquistarono a poco a poco, organizzando una spinta antifascista che nasceva spontanea dal basso. La Resistenza fu, all’inizio, l’incontro tra i militanti antifascisti e i soldati sbandati. Quel che colpisce, e dà il senso della catastrofe, è che nessun soldato, travestendosi da borghese, pensò che stava disertando. E tuttavia episodi di resistenza militare non mancarono. Il fatto è che l’8 settembre i soldati tedeschi erano tutti piazzati: l’Italia era già stata occupata ad agosto, senza che il governo Badoglio intervenisse. Spezia era circondata. Doveva essere difesa dalla Quinta Armata dell’Esercito, diretta dal generale Mario Caracciolo, che si distinse per la volontà di resistere all’invasore, nonostante gli orientamenti quantomeno controversi del comando superiore. Le due divisioni preposte, la Rovigo e le Alpi Graie, poterono dar vita solo a episodi isolati. Ma riuscirono a ritardare l’avanzata dei tedeschi, facendo fallire il loro intento di catturare le navi italiane. In quella situazione era chiaro che non c’era più alcuna possibilità di uscire vittoriosi dalla lotta contro i tedeschi: ma tanti militari preferirono osare. Già il 9 settembre la città era però sotto il pieno controllo dei tedeschi. Veniamo alla Marina…p>
Il fatto più importante dell’8 settembre spezzino avvenne il 9: l’affondamento della corazzata Roma, 1253 morti…
Nelle memorie dell’ammiraglio De Courten, ministro della Marina, e nelle ricostruzioni storiche c’è tutto il dramma di quelle ore. Sia De Courten che l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante delle forze navali di stanza alla Spezia, furono all’inizio violentemente contrari all’armistizio. De Courtin si convinse e convinse a sua volta Bergamini a partire, rinunciando alla scelta dell’autoaffondamento. Ma era ormai troppo tardi, l’aviazione tedesca affondò la Roma. Nella Marina vi furono forze favorevoli e contrarie all’armistizio, prevalsero le prime. Solo la X Mas di Junio Valerio Borghese passò al servizio dei tedeschi. Ma il capitano del CREM Renato Mazzolani venne alla lotta partigiana da quella stessa caserma di viale San Bartolomeo dove operava Borghese. Mazzolani fu componente militare del CLN e comandante delle Sap, Squadre di azione patriottica, nel golfo. Nel dicembre 1944 cadde nelle mani dei nazifascisti. Torturato, si suicidò per non parlare.p>
Chi furono i caduti in quei giorni?
Il 9 settembre un gruppo di militari delle Alpi Graie si scontrò, al ponte di Romito, con i tedeschi. Morì un tenente medico bolognese, rimasto senza nome. Cresceva inoltre la raccolta delle armi abbandonate, con obiettivi ancora non chiari: un simbolo della nuova coscienza che stava nascendo. Tra i popolani che le raccoglievano c’era Giovanni Pelosini, ventenne di Tellaro, che recuperò nell’amegliese, in località Montemurlo, insieme ad alcuni amici, armi abbandonate dai reparti alpini sbandati nella zona. Sorpreso dai tedeschi, Pelosini tentò la fuga ma venne gravemente ferito da colpi di armi da fuoco. Morì all’ospedale di Sarzana. Era l’11 settembre: fu il primo caduto della Resistenza spezzina che ricordiamo con un nome.
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