Battaglia del Gottero, momento epico
La Nazione, 20 gennaio 2015 – Il proclama del generale alleato Alexander del 13 novembre 1944 fu un duro colpo per il movimento partigiano: conteneva l’“istruzione” di “cessare per il momento operazioni organizzate su vasta scala” e di “tenersi pronti per la primavera”. Tedeschi e fascisti si sentirono imbaldanziti a colpire a fondo la Resistenza. Ma i partigiani reagirono con fierezza: nessuna smobilitazione, una più intensa combattività. Nel momento stesso in cui sembravano schiacciati, ci fu la riscossa. Una delle risposte più coraggiose fu la “battaglia del Gottero”, che coinvolse le forze della nostra IV Zona operativa. Giustamente Cristina Mirabello, nel convegno al Centro Allende, l’ha definita “una vicenda tra le più significative della Resistenza in Alta Italia”. La battaglia fu in realtà un’epica azione di sganciamento e spostamento, per sfuggire al più grande rastrellamento mai effettuato contro la IV Zona. Dopo avere sconfitto, il 29 novembre, le brigate sopra Sarzana, i nazifascisti volevano colpire mortalmente, in Val di Vara e Lunigiana, l’altro polmone della Resistenza, quello spezzino. Il 20 gennaio 1945 25.000 tedeschi e fascisti strinsero in una morsa a tenaglia i nostri 2.500 partigiani, che non erano equipaggiati per poter resistere a lungo, tanto più in un inverno mai così freddo. La loro reazione era stata discussa e concordata: respinto il primo assalto, dovevano occultarsi e allontanarsi.
La Brigata garibaldina “Gramsci” e la Divisione “Cento Croci” riuscirono, nonostante il gelo e la fame, a portarsi sul monte Gottero e da lì a raggiungere aree già rastrellate: dapprima Fontana Gilente, dove però non c’era cibo, poi le Cascine di Bassone, dove riuscirono a mangiare patate bollite nella neve sciolta. Più difficile fu lo sganciamento della Colonna “Giustizia e Libertà”, troppo lontana dal Gottero: due compagnie dovettero nascondersi per giorni ai limiti della sopravvivenza. Undici partigiani della IV Compagnia, tra i quali il comandante Giovanni Pagani, furono catturati sul monte Dragnone e fucilati alla Chiappa il 3 febbraio. Dodici partigiani della V Compagnia, sorpresi ad Adelano di Zeri, furono invece uccisi sul posto: erano tutti di Vernazza, tra cui Renato Perini e i suoi due figli gemelli.
Tra il 25 e il 31 gennaio i rastrellatori si ritirarono e le formazioni partigiane rientrarono nelle aree occupate in precedenza. Avevano avuto 50 morti e 40 prigionieri, e moltissimi partigiani con congelamenti. Fu uno straordinario successo difensivo, come scrisse il comandante della IV Zona Mario Fontana.
La reazione fu resa possibile da due fattori. Il primo fu una buona organizzazione militare, assai superiore a quella di altri rastrellamenti. Quando i garibaldini della “Vanni”, che a Serò stavano tenendo bravamente la posizione, ricevettero l’ordine di sganciamento, reagirono amareggiati, ma obbedirono. Le bande dei ribelli erano ormai diventate un esercito popolare. Il secondo fattore fu l’appoggio della popolazione contadina, che a Serò arrivò a prendere le armi, e ovunque curò, protesse, sfamò come poté i partigiani. Decisivo fu il ruolo delle donne: la “Filomena” di Torpiana, la “Carmela” di Boschetto e tantissime altre resteranno per sempre nel cuore dei ribelli. In poche settimane il quadro cambiò: febbraio e marzo furono i mesi della vigilia dell’insurrezione.
Giorgio Pagano
Copresidente del Comitato Unitario della Resistenza
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