Unificare le forze dell’ordine è l’unica soluzione per tutelare i cittadini senza lederne i diritti
Il Secolo XIX – 12 agosto 2008 – Il governo ha ampliato i poteri dei sindaci perché provvedano alla sicurezza del territorio: possono emanare ordinanze per le situazioni di pericolo per la popolazione, il decoro urbano, la pubblica decenza. La sicurezza è un bene primario, ed è giusto, in una visione federalista, che i sindaci abbiano più poteri anche in questa materia.
Nel 1999 ci fu un passo in avanti, quando i sindaci dei capoluoghi furono inseriti nei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza. Ma fu una riforma incompiuta: il Comitato è infatti un organo di mera consulenza del prefetto e i sindaci svolgono una funzione secondaria.
Ora il loro ruolo comincia a essere riconosciuto, a scapito -non potrebbe essere diversamente- dei prefetti. Ma ai prefetti rimane il ruolo principale, il coordinamento delle forze dell’ordine. I rischi di conflitto istituzionale sono quindi nelle cose. Per evitarli è fondamentale la distinzione tra sindaci e polizie municipali da un lato, e prefetti e forze dell’ordine dall’altro; così come la forte collaborazione tra queste due realtà. Molto dipenderà dalla capacità di lavorare assieme delle singole persone.
La vera alternativa, coerentemente federalista, è la costituzione di un unico corpo di polizia per il territorio che unifichi tutti i corpi esistenti, alle dipendenze del sindaco, e che sia del tutto distinto da una sorta di FBI alle dipendenze dello Stato, con competenza in materia di grande criminalità. Sarebbe, tra l’altro, una misura di forte riduzione della spesa pubblica: quindi, oggi, coerentemente riformista.
Il decreto spinge i sindaci alla “creatività” : ne sortiranno atti utili e altri molto meno, come quello novarese che impedisce di essere più di due nei parchi di notte. Ma il federalismo nasce anche per responsabilizzare una classe dirigente: saranno i cittadini, alla fine, a giudicare.
Ci sono poi altri due seri problemi. Il primo: all’attribuzione di nuovi poteri non fa seguito la copertura finanziaria, perché vengono tagliate ingenti risorse alle forze dell’ordine.
Il secondo: le istituzioni devono dare una risposta ai cittadini insicuri ma anche a chi arriva da noi, lavora onestamente e chiede integrazione e riconoscimento dei diritti. Abbiamo un obbligo morale verso la nostra comunità e verso lo straniero, l’altro, il diverso. Dobbiamo combinare etica della sicurezza e etica dell’accoglienza. E’ l’esperienza europea a dirci che la sicurezza aumenta la capacità di accoglienza, e viceversa. I governi più repressivi non hanno avuto risultati confortanti nella lotta alla criminalità: la delinquenza minorile rappresenta in Inghilterra il 20% del crimine. Mentre nel Nord, dove è sopravvissuto il modello che unisce integrazione sociale e repressione, la percentuale scende al 5%, come in Norvegia. Ma i tagli ai Comuni contenuti nella finanziaria non aiutano l’ inclusione sociale, a favore dei minori stranieri o dei nuovi poveri.
Preoccupa, più in generale, la filosofia della politica di sicurezza del governo. Accanto a misure giuste ce ne sono altre ispirate a principi pericolosi: le impronte alle minoranze etniche e i trattamenti speciali della giustizia per i reati commessi dagli immigrati clandestini. Gli individui che commettono un crimine vanno puniti, ma senza riproporre lo stereotipo della colpa collettiva di un popolo. Così come una persona non può essere giudicata diversamente per il fatto di essere immigrato clandestino. Né convince l’uso dell’esercito nelle città: un ruolo improprio, che mortifica quello delle forze dell’ordine.
Il programma è chiaro: mantenere alta la febbre dell’insicurezza, alimentare la paura per conquistare consenso. Ma come potrà esserci una riduzione dei crimini? Con quale organizzazione? Con magistrati, poliziotti, carabinieri senza risorse? Con carceri in cui i detenuti sono il 30% in più della capienza, senza che ci siano investimenti per un sistema penitenziario da paese civile? Con i tagli al welfare integrativo? Alla fine la paura suscitata ad arte potrebbe rivelarsi un boomerang e scatenare, di fronte all’inefficacia dello Stato, ondate di “rondismo” e di ripulisti “fai da te”.
Unificare le forze di polizia e utilizzare le risorse così ottenute perché ci sia quell’efficacia che tuteli i cittadini senza comprimere i diritti : potrebbe essere questa la nuova via di una politica federalista e riformista.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale allo sviluppo nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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