Una politica per i ragazzi del nuovo millennio
Il Secolo XIX – 19 maggio 2009 – Hanno un interesse maggiore verso la politica, vivono in simbiosi con le tecnologie, vogliono mettersi in discussione e diventare autonomi. Sono i Millennials, i ragazzi nati dopo il 1982, diventati maggiorenni dopo il 2000. Sembrano più partecipativi e meno individualisti rispetto agli attuali trentenni. E’ questa la conclusione della ricerca condotta da Alessandro Rosina e Paolo Balduzzi dell’Università Cattolica di Milano, presentata nei giorni scorsi.
In questi anni i giovani italiani sono stati penalizzati da un assetto sociale e dalle scelte di una classe dirigente poco dinamica e molto gerontocratica: rispetto ai loro coetanei europei hanno tassi di occupazione più bassi, salari inferiori, minori strumenti di protezione sociale (la mancanza di ammortizzatori sociali contro la precarietà), minori possibilità di ascesa sociale. Il ricambio generazionale è scarso, bloccato com’è dalle inossidabili generazioni più anziane che guidano il mondo politico, universitario, delle professioni. I primi a subire le conseguenze del declino generazionale, ricorda lo studio, sono stati gli attuali trentenni, che hanno reagito con “un atteggiamento in larga parte passivo e rinunciatario”. Non hanno fatto sentire la loro voce in modo collettivo per sbloccare le rigidità sociali, ma hanno agito singolarmente: o fuggendo all’estero o facendosi proteggere dalla famiglia o accettandosi di farsi cooptare, diventando parte di un sistema nel quale vince chi può contare sugli “appoggi”(vedi presenza dei giovani nelle liste delle ultime elezioni politiche).
I Millennials sembrano meno rassegnati, più ottimisti e combattivi. La tendenza, come spesso accade, è stata rilevata per prima negli Stati Uniti: ci sono i Millennials e la loro voglia di cambiare dietro la vittoria di Barack Obama. Nei voti popolari Barack Obama ha battuto John McCain 53 a 46; tra gli under 30 il candidato democratico ha vinto 66 a 33. Senza il contributo di questa generazione, che si è recata, contrariamente al passato, massicciamente alle urne, il voto popolare sarebbe finito 50 a 50. Alcuni recenti studi svolti negli Stati uniti definiscono i Millennials, rispetto agli attuali trentenni, più consapevoli e impegnati a dare un contributo per cambiare il loro Paese, con maggior propensione al rischio, con composizione più multietnica, con competenze maggiori nelle nuove tecnologie.
E in Italia? Rosina e Balduzzi mettono assieme i dati di varie indagini (Istat, Eurostat, Iard, ecc.) sui nostri giovani: il quadro che emerge, scrivono, “fornisce indizi che sembrano confermare anche per il nostro Paese un profilo diverso dei ventenni rispetto agli attuali trentenni”. Vediamo alcuni dati: 4 su 5 usano internet tutti i giorni; la percentuale dei giovani (15-24 anni) che considerano molto importante l’impegno sociale è passata nei primi anni del nuovo secolo dal 18% al 25%; quella dei giovani che considerano importante l’attività politica e ne discutono quotidianamente è più che raddoppiata; la propensione al rischio è al 40% tra i trentenni e al 60% tra i 20-24enni; la permanenza nella famiglia di origine continua ad aumentare tra i trentenni mentre registra un’inversione di tendenza tra i più giovani; diminuisce anche il divario di comportamenti tra i due sessi; c’è un maggior peso delle seconde generazioni straniere, con la loro voglia di emergere e di migliorare le proprie condizioni. I ventenni sono, dice il sociologo Antonio De Lillo, “la vera, grande risorsa di questo Paese”.
Con l’Onda studentesca questa generazione ha dato un segnale di protagonismo personale e sociale. Ma ora ha bisogno di incontrarsi con un pensiero politico che sappia rappresentare le sue istanze di rottura della fissità sociale. Come è successo negli Stati Uniti: i ragazzi sono diventati soggetti del cambiamento quando hanno trovato un’offerta politica adeguata. In assenza di questo pensiero politico, concludono gli autori della ricerca, “il rischio è che ancora una volta le nuove generazioni si ritrovino loro malgrado respinte ai margini”. La destra, che pure aveva attratto i giovani alle ultime elezioni, è ormai su una linea di difesa delle caste chiuse e delle corporazioni: tutte le liberalizzazioni approvate nella scorsa legislatura vengono cancellate. In questo modo prestigio e benessere rimarranno come sono: in gran parte ereditari. La sinistra deve chiarire i fondamenti del suo progetto, proponendo un’uscita dalla crisi basata sulla riduzione delle diseguaglianze, sulla promozione delle opportunità per tutti e del merito come conseguenza di un ordine sociale giusto, sull’agevolazione della mobilità sociale. E’ il progetto di una nuova sinistra liberale, che oggi inizia a delinearsi nelle scelte di Barack Obama. Scelte che vengono dalla cultura americana, ma che hanno riferimenti anche nel modello socialdemocratico europeo, che è certamente da riformare ma non da gettare via come un ferrovecchio. Non bisogna avere lo sguardo rivolto al passato, ma nemmeno farsi accecare, come in questi anni, da un nuovismo eclettico e dimentico di tutto.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche)
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