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Un piano concreto per dare l’acqua a chi non l’ha

a cura di in data 20 Settembre 2008 – 10:09

Il  Secolo  XIX –  20 settembre 2008 – Il mondo non ha mai avuto così sete. Disporre di acqua potabile appare a noi, figli dell’abbondanza, qualcosa del tutto normale. Ma fuori dall’Occidente, nel mondo in via di sviluppo, non è così. Un miliardo e cento milioni di persone (di cui quattrocento milioni sono bambini) non hanno accesso all’acqua sicura: è il 17% della popolazione mondiale. Più di cinque milioni muoiono ogni anno per malattie causate da acque infette.
Chiunque abbia avuto occasione di battere le strade del mondo più povero ha  appreso l’attenzione, il rispetto, il culto silenzioso tributato collettivamente a questo bene che si identifica con la vita. L’acqua è offerta come un dono, magari torbida di terra, raccolta in fondo a un pozzo, quando c’è; ed è contesa come un tesoro quando -troppo spesso- scarseggia. La prima guerra dell’acqua è già scoppiata, si sta combattendo in Darfur. Ma anche nel conflitto mediorientale il controllo dell’acqua ha avuto un ruolo decisivo.
Il riscaldamento climatico sta aggravando una situazione già drammatica: causa desertificazione e siccità, uragani e inondazioni, distruzione delle coltivazioni, carestie.
Il tema dell’acqua è stato al centro dell’Expo di Saragozza, che si è conclusa pochi giorni fa con l’approvazione della Carta che sancisce il diritto all’acqua. Secondo gli “Obiettivi del Millennio”, indicati dalle Nazioni Unite, entro il 2015 dovrebbe essere dimezzato il numero delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile. I 191 Stati che hanno sottoscritto questo impegno sono, però, molto in ritardo. Ecco perché è fondamentale l’impegno nella cooperazione internazionale. E’ una questione di risorse da destinare agli aiuti: fa male constatare che l’Italia è ferma allo 0,20% del Pil, e che solo Grecia e Usa fanno meno di noi; e che il nuovo governo ha tagliato le risorse aggiuntive che il governo Prodi aveva appena stanziato. Ed è anche una questione di qualità e di efficacia, di come gli aiuti vengono impiegati: per questo serve una legge di riforma della cooperazione.
Nel campo dell’acqua si è affermata, negli ultimi anni, una presenza qualificata dei Comuni italiani. Il meccanismo individuato è quello di destinare “un centesimo di euro per metro cubo di acqua consumata” a progetti di cooperazione in materia idrica. Il fondo di finanziamento solidale viene alimentato dagli utenti, con un contributo di 1,50-2 euro l’anno per una famiglia di quattro persone. Il meccanismo, già in vigore a Firenze,Venezia e in altre città, ha consentito di realizzare molti interventi nei Paesi del Sud del mondo dove l’acqua è carente.
Perché questa esperienza si estenda ad altre città, l’Anci e l’Ong Alisei hanno presentato al Ministero degli Esteri il progetto “L’Età dell’Acqua”, che mira a informare, sensibilizzare e stimolare alla partecipazione al tema sia la cittadinanza, in particolare i giovani, sia i funzionari dei Comuni, le istituzioni più vicine ai cittadini. Il problema dell’accesso all’acqua verrà trattato nella dimensione internazionale e anche in quella italiana, perché ci sia, nel Paese che è il terzo consumatore al mondo dopo Usa e Australia, un uso più consapevole e responsabile di una risorsa scarsa, toppo spesso sprecata.
Il progetto durerà un anno e coinvolgerà dieci Comuni, di cui sette della Liguria: Genova, La Spezia, Savona, Imperia, Albenga, Lerici, Carcare. Ora c’è solo da sperare, e da battersi, perché il progetto sia finanziato dal Ministero e anche la Liguria partecipi all’impegno per il diritto all’acqua: un impegno prioritario, che ha un effetto immediato per la vita di milioni di persone.

Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale allo sviluppo nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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