Un mondo da ricostruire dopo la pandemia
Il Secolo XIX nazionale, 18 aprile 2020 – Oltre trent’anni fa il sociologo tedesco Ulrich Beck (“La società del rischio”, 1986) aveva previsto ciò che sta accadendo: il passaggio dalla “società industriale” alla “società del rischio” e delle “minacce globali sovranazionali”. “Con la crescita esponenziale delle forze produttive -scriveva- si liberano rischi e potenziali autodistruttivi in dimensioni fino ad oggi sconosciute”, di fronte alle quali “la capacità di immaginazione dell’uomo appare inadeguata”. Stiamo entrando, continuava, in una “società catastrofica”, in cui “lo stato di emergenza minaccia di diventare la norma”.
Beck percepiva già i rischi dell’agricoltura industriale intensiva. In Africa, nelle bellissime foreste devastate dal taglio indiscriminato, ho visto i pipistrelli della foresta. Non immaginavo che, strappati al loro habitat dalla deforestazione, finissero “sotto stress” in un territorio non più loro, diventando portatori aggressivi di virus. Ecco perché, come ha scritto Mario Tozzi (“Il Secolo XIX”, 16 marzo), “il vero antivirus che abbiamo a disposizione è proprio la conservazione della natura, ed in particolare delle foreste tropicali”.
Il sistema di produzione del cibo è all’origine delle pandemie anche se consideriamo gli allevamenti intensivi, come ha dimostrato il biologo americano Rob Wallace nel libro del 2016 “Big Farms Make Big Flu”.
C’è poi il cambiamento climatico. Non esistono studi scientifici sul rapporto tra inquinamento atmosferico e coronavirus (anche se certamente il particolato atmosferico rende i virus più letali), ma è provata la connessione tra cambiamento climatico ed espansione di alcune malattie tropicali.
Tutto ciò rimanda, scriveva Beck, alla “vecchia questione del come vogliamo vivere”. La globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta è morta e sepolta. Sapremo trarne le conseguenze o terremo la testa rivolta all’indietro? Ha ragione Franco Cardini quando ricorda che, nella storia, dalle epidemie si è sempre usciti “sì provati, ma anche provvisti di una nuova energia, di una visione più positiva del futuro” (“Il Secolo XIX”, 14 marzo). Perché si è riflettuto sugli errori commessi. Questa volta il nome dell’errore è: “azione scriteriata dell’uomo ai danni dell’ambiente”, cioè “esasperazione della civiltà dello sviluppo”.
Ma non c’è solo questo. Come diceva Beck, la “società del rischio” è sì “democratica”, perché colpisce tutti, ma è anche produttrice di “nuove diseguaglianze”. All’interno dei Paesi sviluppati: non è la stessa cosa “stare in casa” per chi ha terrazzi, giardini, cultura, connessione, ricchezza, e per chi non li ha. E tra Paesi sviluppati e Paesi poveri, dove le case non ci sono. La pandemia è già arrivata in Africa: se esplodesse sarebbe un’ecatombe. E comunque è esplosa la crisi economica: mezzo miliardo di persone in più cadranno nella povertà, spiega l’ultimo rapporto di Oxfam.
Non possiamo, dunque, “ritornare come prima”. Il nuovo cammino della ricostruzione sarà lungo ed irto di ostacoli. Ma non ci sono alternative, perché non si può “rimanere sempre sani in un mondo malato”, come ha spiegato Francesco nella riflessione che, quando si farà la storia di questa tragedia, emergerà come la più importante.
Il nuovo cammino non potrà che essere globale. Presuppone cioè un “buon governo” mondiale: non c’è più spazio per “America First” e per i sovranismi, ma semmai per una “nuova” ONU e per le agenzie internazionali.
Non sarà un cammino verso la miseria, ma verso la sobrietà. Creerà molti posti di lavoro: non solo nell’economia verde, ma anche nella sanità e nella scuola, vituperate da anni. Perché “quando urge il bisogno, solo lo Stato ci può aiutare” (Jurgen Habermas, “Le Monde”, 12 aprile) Per il “ritorno dello Stato” serviranno risorse: la carbon tax contro chi inquina, la Tobin tax sulle transazioni finanziarie… In Italia i 110 milioni annui di tasse non pagate a causa dell’evasione fiscale, e gli introiti del sistema fiscale progressivo previsto dalla Costituzione.
Il virus colpisce anche i principi ed i primi ministri. Ma l’eguaglianza finisce qui. Il nuovo modo di vivere dovrà essere sostenibile e più giusto, sia ambientalmente che socialmente.
Giorgio Pagano
Cooperante, già Sindaco della Spezia
Popularity: 3%