Sinistra-cattolici,Berlinguer fa scuola anche oggi
Il Secolo XIX 17 giugno 2009 – La sinistra italiana ed europea, scrive Barbara Spinelli sulla Stampa, è “balbettante e come istupidita” dopo il disastro del voto europeo. Anche così si spiega il (quasi) silenzio della sinistra italiana in occasione del 25° anniversario della morte di Enrico Berlinguer, segretario del Pci. Non che in lui ci sia la soluzione per problemi nuovi. Ma una riflessione sul passato per poter capire meglio il presente, che espunge certe parole e certi concetti ma non fa tabula rasa di tutto il patrimonio ideale da cui si proviene, dovrebbe essere una caratteristica di una “sinistra pensante”, che non si limita a presentare candidati alla leadership senza un cenno ai valori e ai contenuti che dovrebbero incarnare.
La sinistra dovrebbe interrogarsi innanzitutto su un fatto: mai, nell’Italia repubblicana, un uomo politico aveva raccolto attorno a sé, come Berlinguer, tanto rispetto e tanta stima. Perfino amore: dall’esordio al cinema di Roberto Benigni con il film “Berlinguer ti voglio bene”, fino agli striscioni con parole semplici che accompagnarono i suoi funerali: “Ciao Enrico”, “Enrico ti vogliamo bene”. Ai funerali partecipò più di un milione di persone, in corteo verso piazza San Giovanni o assiepate lungo il percorso. Mai per altri ci fu una manifestazione così ampia.
Il perché lo spiegò Piero Ottone: “Gli uomini politici possono essere divisi in due categorie. Ci sono quelli che sarebbero disposti a fare qualsiasi cosa pur di ottenere determinate posizioni di potere e vi sono quelli che non si curano affatto del posto che occupano pur di fare ciò che vogliono fare. Berlinguer apparteneva alla seconda categoria”. Una categoria in estinzione, già in quegli anni. Di fronte a una politica che era sempre più intrigo e vanità, Berlinguer incarnava l’idea nobile di una politica intesa come sacrificio, abnegazione, servizio, passione civile, impegno di chi crede nelle cose che fa e fa le cose in cui crede. La politica di chi non si risparmia mai, simboleggiata da quella morte sul palco di Padova. Furono queste le ragioni del suo fascino e del suo carisma. E dell’enorme cordoglio che la sua morte suscitò. Un sentimento che ci fa capire lo spirito pubblico di quel tempo.
Fu una commozione che abbatté le barriere del pregiudizio politico quando, la domenica successiva, si votò per le elezioni europee. Il PCI salì al suo massimo storico, il 33,3%, e divenne il primo partito.
Ma fu un fenomeno effimero, e non poté essere che così: la crisi politica del Pci era già in atto da molti anni, e si aggravò dopo la morte di Berlinguer. In fondo la sua tragica fine risparmiò al leader comunista l’impatto con il fallimento della sua strategia. Dopo il successo alle europee ci fu la duplice sconfitta del 1985, nel referendum sulla scala mobile e nelle elezioni amministrative. Quando Berlinguer scomparve, per molti, nel Pci, al dolore personale si unì il senso del declino del partito. Un partito che, esaurita la strategia del compromesso storico, era su un binario morto, senza prospettiva politica, ripiegato su se stesso e arroccato. Un partito che aveva cercato di ridare un senso al comunismo nell’epoca della sua crisi, coltivando l’illusione che fosse possibile la riforma del socialismo reale. Un’ipotesi già sconfitta, a Praga, molti anni prima. Ma che il Pci coltivò fino alla fine, anche con Natta e Occhetto segretari, nella vana speranza che Gorbaciov riformasse l’irriformabile.
Berlinguer, riformatore sconfitto del comunismo, non ci lascia dunque risposte per le domande di oggi. Ma idee e suggestioni innovative, questo sì. Sono i suoi “momenti alti”, in cui sta la sua modernità. Penso alla concezione della politica: non è da passatisti affermare che una rivalutazione della politica sarà possibile solo se essa non si spoglierà più, come scrisse Thomas Mann,”della sua componente ideale spirituale, della parte etica e umanamente rispettabile della sua natura”, così forte in Berlinguer.
Penso alla scelta europeista, per l’integrazione e l’unità europea, portata avanti negli ultimi anni senza contraddizioni, anche per l’incontro con Altiero Spinelli, l’ex comunista diventato profeta dell’ Europa unita. O alla riflessione sulla necessità di un governo mondiale, sul grande tema del rapporto tra ambiente e sviluppo, su un’idea diversa del benessere individuale e della crescita umana: 25 anni fa Berlinguer apparve come un utopista, oggi quelle sfide sono di stringente attualità. Berlinguer era moderno anche quando individuava nella “questione morale” il principale problema italiano e la fondava sul blocco del sistema politico e sul mancato ricambio delle classi dirigenti. Ma poi si contraddiceva perché non affrontava la “questione comunista”, cioè il fatto che un partito comunista non poteva diventare forza di governo e quindi bloccava il sistema politico e impediva che si realizzassero quelle condizioni del ricambio di cui il Paese aveva bisogno. Una contraddizione che lasciò in eredità ai suoi successori, che aspettarono il crollo del muro di Berlino per dare vita, pur tra tante ambiguità e parzialità che ancor oggi si pagano, a un partito di sinistra riformista capace di accedere al governo.
Ma forse la parte più vitale dell’elaborazione berlingueriana sta nella riflessione sul rapporto con il mondo cattolico, che lui considerava una condizione essenziale per il rafforzamento della nostra democrazia. L’obbiettivo della convergenza tra la sinistra e il mondo cattolico è ancora valido, in un senso cha va tutto rivisitato e rapportato alla crisi sociale e al deficit etico di oggi. L’individualismo e il privatismo pongono sfide inedite alla civiltà europea e colpiscono elementi costitutivi della sua identità, come ci ha rivelato anche il voto del 7 giugno. Queste sfide si riassumono nell’alternativa solidarietà/anti-solidarietà. Vengono poste così in discussione sia le culture della sinistra sia quelle secolari delle Chiese cristiane, soprattutto della Chiesa cattolica. Non a caso la recente assemblea dei vescovi italiani sembra avere indicato una svolta nella presenza pubblica della Chiesa, rimettendo al centro la questione sociale e la solidarietà ai lavoratori, ai precari, agli immigrati. La sinistra, allora, ha il compito di riconoscere nel fenomeno religioso un elemento costitutivo di una moderna cultura della solidarietà. Non deve spingere i credenti a chiudersi nella vita privata ma incoraggiarli a far valere le loro idee nella vita pubblica, ovviamente in un contesto di laicità e di pluralismo. Ha scritto Giuseppe Vacca, direttore dell’Istituto Gramsci: la sinistra dovrebbe lavorare per “ri-alfabetizzare un popolo di cittadini democratici all’ascolto e alla comprensione dei linguaggi specifici delle religioni”. La cultura che aveva “il nobile compito di laicizzare in senso liberale la cultura della sinistra italiana” (quella di “Repubblica”, tanto per intenderci) ha terminato il suo lavoro: “questa questione è finita, ora è altro il problema”. I diversi sviluppi della riflessione storica, politica e culturale del comunismo italiano sul mondo cattolico, da Gramsci a Berlinguer, hanno ancora qualcosa da dire a chi vuole risolvere questo nuovo problema. Che è parte importante della faticosa ricerca per dare un fondamento alla sinistra oggi e per costruire un nuovo centrosinistra che sappia unire progressisti e moderati.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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