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Puntiamo sul nucleare di domani, non di ieri

a cura di in data 14 Giugno 2008 – 09:10

Il Secolo XIX – 14 giugno 2008 – L’Italia deve dotarsi urgentemente di un Piano energetico nazionale per rispondere ai problemi economici del caro-petrolio e a quelli ambientali del surriscaldamento climatico, legati anch’essi al consumo del petrolio e di altri fossili.
Il governo Berlusconi pensa che la soluzione sia quella delle centrali nucleari. E’ un tema molto serio: il nucleare non è un tabù  ma non può nemmeno essere un feticcio. Bisogna scommettere sulla scienza ed è proprio la scienza che sconsiglia il rilancio del nucleare disponibile oggi, nato nel lontano 1942, che è quello a cui pensa il nostro governo( visto che si è dato un orizzonte di cinque anni per aprire i cantieri).
Questo nucleare ha innanzitutto un problema di sicurezza, a cominciare dalle scorie, che non sappiamo ancora come trasportare e stoccare. Gli Usa hanno investito otto miliardi di dollari in diciotto anni per lo stoccaggio nel sito di Yucca Mountain, ma l’area si sta contaminando.
C’è poi un problema di convenienza economica:sono molto alti i costi di costruzione e soprattutto di smantellamento (più o meno il doppio) delle centrali, oltre che di smaltimento dei rifiuti. E i costi aumenteranno perché l’uranio comincerà a scarseggiare nel 2025-2035.
Del resto,se il nucleare fosse davvero sicuro e conveniente sia la politica che il mercato l’avrebbero premiato:invece nel mondo copre solo il 6,5% dell’intero fabbisogno di energia, e da oltre un decennio nessun Paese occidentale costruisce più nuove centrali. Se ne costruiscono invece in Cina, India e Russia, Paesi con controllo democratico fragile e in cui il problema dei costi non si pone perché l’investimento lo paga lo Stato.
Tuttavia chi ritiene il nucleare disponibile oggi una soluzione sbagliata ha il dovere di presentare una proposta alternativa, perché la situazione attuale è insostenibile sia dal punto di vista economico che ambientale. Una proposta che dovrebbe basarsi su tre punti.
Il primo:diminuire, come indica l’Unione europea, del 20% i consumi di energia, non solo nelle industrie ma anche e soprattutto nelle abitazioni, che sono il primo fattore del surriscaldamento del pianeta e devono diventare parte della soluzione, il che presuppone il cambiamento di tante nostre abitudini e la creazione di una nuova “cultura energetica”(capacità di risparmio e minore consumo e di autoproduzione energetica,per dirla con Jeremy Rifkin).
Il secondo:avere almeno un 20% di energia ricavata da fonti rinnovabili,come da indicazione dell’Unione europea. Sono due punti su cui l’Europa sta camminando da tempo, mentre l’Italia è praticamente ferma, a parte alcune misure dell’ultimo governo Prodi. A livello globale gli investimenti nelle rinnovabili crescono al ritmo del 30% l’anno, e in molti Paesi l’elettricità prodotta da eolico e solare è attorno al 10%. Puntare su efficienza energetica e energie pulite spinge l’innovazione tecnologica e crea posti di lavoro: in Germania già oggi il settore delle rinnovabili occupa oltre 100.000 lavoratori, e negli Usa si prevede che lo sviluppo dell’eolico darà lavoro a mezzo milione di persone.
Il terzo punto:utilizzare di più il metano, il combustibile fossile meno inquinante, e quindi costruire alcuni nuovi gassificatori, per migliorare il nostro approvvigionamento di gas.
Il Piano energetico,infine,dovrebbe stanziare risorse per lo sviluppo della ricerca,battendo ogni strada, compreso il nucleare che utilizza metalli diversi dall’uranio, come il torio di cui parla Carlo Rubbia, e non rinunciando al grande  sogno della fusione nucleare, che non lascia rifiuti pericolosi. Il futuro sta nella scienza:ma in quella di domani, non in quella di ieri.
Giorgio Pagano
L’autore si occupa di cooperazione internazionale allo sviluppo nell’Anci(Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs(Rete città strategiche).

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