Nucleare, il finto “miracolo” francese fa meditare
Il Secolo XIX – 20 ottobre 2009 – La scelta del ritorno dell’Italia al nucleare va avanti, senza che l’opinione pubblica sia coinvolta in una discussione razionale e argomentata. Chi è favorevole porta spesso a modello il “miracolo nucleare” francese, che sarebbe esemplare per rispetto dell’ambiente e convenienza economica.
Dal punto di vista ambientale l’ennesimo scandalo è emerso pochi giorni fa grazie alle rivelazioni di due media francesi, la televisione Arte e il quotidiano Liberation (il Secolo XIX è stato l’unico giornale italiano a darne notizia). Riguarda le scorie provenienti dalle centrali nucleari, il cui smaltimento è un problema che nessun Paese al mondo è stato finora capace di risolvere. Compresa l’Italia, che non ha trovato una sistemazione definitiva alle scorie delle centrali funzionanti fino al 1987, né ha idea di dove collocare quelle che proverranno dalle nuove centrali che il Governo intende costruire. Le inchieste giornalistiche hanno rivelato che la Francia, a partire dagli anni ’90, ha inviato segretamente, ma con l’accordo del Governo russo, una percentuale pari al 13% delle sue scorie -108 tonnellate annue- nella città siberiana di Seversk. Materiali stoccati in un’area a cielo aperto, con gravissime conseguenze per la popolazione.
Sempre dal punto di vista ambientale è da non perdere la trasmissione “Uranio: lo scandalo della Francia contaminata”, trasmessa da France 3, televisione pubblica francese, l’11 febbraio 2009. E’ disponibile sul sito dell’emittente e anche su You Tube con i sottotitoli in italiano. E’ un’inchiesta sconvolgente. Racconta la storia delle centinaia di miniere d’uranio francesi e delle scorie delle lavorazioni di questo minerale, più di 300 milioni di tonnellate di polveri radioattive sepolte in quasi la metà dei Dipartimenti della Francia tra il 1945 e il 2001. Le telecamere ci portano a Gueugnon in Borgogna: vi sono sepolte 225.000 tonnellate di materiale radioattivo, che stanno anche sotto il parcheggio dello stadio e il “percorso vita(!)”, dove i bambini possono contaminarsi giocando con la terra. O a Saint Priest-la Prugne nella Loira, dove le strade, costruite sopra le pietre radioattive, “crepitano”. Vediamo i contatori geiger andare in tilt, per una radioattività che in poche ore supera la dose annua ammessa per l’uomo. Ascoltiamo le voci dei pochi minatori e operai che hanno lavorato l’uranio rimasti in vita, superstiti di un’ecatombe. Moltissimi sono morti per tumore ai polmoni provocato dal radon, gas tossico irradiato dall’uranio, come spiegano i medici dell’IRSN (Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare). Uno scandalo di Stato, perché frutto delle scelte di Cogema (oggi Areva) e Cea, aziende di Stato e dominio riservato dell’Eliseo, che ha sempre centralizzato tutto e informato poco. Qualcuno sapeva: Pierre Desgraupes, vicepresidente del Consiglio supremo della sicurezza e le informazioni nucleari, scrisse un rapporto, le cui raccomandazioni furono sepolte nei cassetti. Poi qualcosa emerse e fu anche varata una legge: ma i controlli vengono fatti da Areva “Ambiente”, non sono indipendenti e trasmettono dati falsi, perché i rilievi escludono scientemente i siti con maggiore radioattività. Come denuncia Corinne Lepage, Ministro dell’ambiente dal 1995 al 1997 nel governo di destra guidato ad Alain Juppè, “c’è una mescolanza inaccettabile tra controllori e controllati”.
Oggi, a miniere chiuse, la Francia importa il 100% dell’uranio: sta usufruendo delle condizioni eccezionali di sfruttamento brutale delle risorse di Paesi come la Nigeria, da dove per 40 anni ha importato il 30% del proprio fabbisogno a prezzi ridicolmente bassi. Ma le contraddizioni stanno esplodendo, si sviluppa la guerriglia e si temono le “guerre per l’uranio”. E Areva è accusata di gravi contaminazioni ambientali in Nigeria, Gabon e Niger, dove crescono le discariche radioattive a cielo aperto e conseguentemente le malattie tumorali. Sul dramma del Niger si può vedere, su internet, il film “Nucleaire, une pollution durable”.
Dal punto di vista economico va innanzitutto considerato che in Francia lo Stato ha sempre gestito, oltre al sistema energetico, uno degli arsenali nucleari più potenti del mondo. Moltissimi costi sono comuni ai due settori, per cui una parte dei costi del programma civile è mascherata dietro quello militare. Se si paga meno con la bolletta energetica è perché si paga di più con la fiscalità generale.
Va aggiunto, come spiega Angelo Baracca in “L’Italia torna al nucleare?”, che il sistema elettrico francese è molto rigido: mentre la domanda di energia non è costante (si pensi ai picchi tra notte e giorno), i reattori nucleari non sono in grado di diminuire o innalzare la potenza seguendo le variazioni della domanda. Questo è il motivo per cui la Francia è costretta a vendere grandi quantitativi di energia ai Paesi circostanti, e a prezzi bassi perché si tratta di un surplus; e a importare energia elettrica a prezzi alti nei momenti in cui i si abbassano i fattori di carico dei reattori. Anche il candidato repubblicano alle presidenziali Usa, John McCain, proponeva di seguire le orme della Francia. E’ stato il Financial Post a spiegargli che “se l’80% dei fabbisogni degli Usa venisse fornito dal nucleare, come desidera McCain, l’America non avrebbe mercato per il surplus fuori picco, anche se questa energia la regalasse…Se i confinanti della Francia avessero sistemi energetici dominati dal nucleare, anch’essi dovrebbero cercare di esportare l’energia sopra il picco e la Francia non avrebbe nessuno a cui scaricare il proprio surplus”.
Ma c’è di più: nonostante tutto, i consumi totali di energia in Francia sono coperti per il 70% dai combustibili fossili! La Francia, se è un esempio, lo è di un “disastro”, non di un “miracolo”. Siamo ancora in tempo a fare scelte radicalmente diverse: il risparmio e l’efficienza energetica, le fonti rinnovabili, la ricerca sulle energie del futuro, dal sequestro geologico della C02 prodotta dalle fonti fossili, fino all’idrogeno e alla fusione nucleare, cioè al nucleare davvero sicuro.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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