Non è un paese per immigrati ma dovrà diventarlo
Il Secolo XIX – 23 dicembre 2010 – Il Presidente della Repubblica, in occasione della Giornata Internazionale dei Migranti indetta dall’Onu, ha parlato degli immigrati come risorsa: il loro, ha detto, “è un contributo imprescindibile per famiglie e imprese”.
Quanto sia importante questo contributo lo spiega bene il libro di Riccardo Staglianò “Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti”, che si sofferma sui tre motivi della loro indispensabilità: quello demografico, cioè il fatto che siamo in riserva di giovani; quello fiscale, vale a dire il saldo attivo per il Paese di 5 milioni di euro, calcolando quello che gli immigrati pagano di tasse e contributi e quello che lo Stato spende per loro; l’argomento, infine, dell’occupazione: gli immigrati non “ci rubano il lavoro”, ma vanno a riempire le caselle basse della piramide professionale e aprono maggiori opportunità per gli italiani di ascendere a incarichi meno faticosi e meglio pagati.
E’ vero, però, che la crisi economica ha rallentato i flussi e fatto calare gli arrivi. Ce lo dice il nuovo Rapporto della Fondazione Ismu, presentato nei giorni scorsi: nel primo semestre di quest’anno sono arrivati 100.000 stranieri in meno rispetto allo stesso periodo del 2007 (una sottrazione del 40%). Diminuisce la quota di chi sceglie l’Italia, aumenta il numero di quelli che se ne vanno: è una tendenza che inizia nella primavera del 2008, con i primi effetti della crisi. E tuttavia non si può parlare di un calo assoluto degli immigrati nel nostro Paese. L’Ismu li stima comunque in 5,3 milioni, di cui gli irregolari sarebbero 544.000, 18.000 in meno rispetto al primo agosto del 2009. Chi rimane è anche più radicato, meglio inserito, e ha portato in Italia coniuge e figli. Grazie ai ricongiungimenti aumentano i nuclei familiari (5% in più tra 2005 e 2009) e crescono i bambini stranieri, che sono oltre un milione, una cifra triplicata rispetto al 2003. Il rallentamento degli arrivi non deve dunque ingannare. Il Rapporto ci rivela che l’occupazione degli stranieri, sia nel 2009 che nel 2010, ha comunque conosciuto un andamento opposto a quello complessivo del Paese. Mentre l’occupazione degli italiani registra una contrazione, gli occupati stranieri sono aumentati del 10% e addirittura del 14% per quanto riguarda la componente femminile. Non perché “ci rubano il lavoro”, ma perché esistono in Italia mercati del lavoro separati e sbocchi “etnicizzati”. Ci sono cioè i “lavori da immigrati”. Ciò vale soprattutto per le donne: cresce sempre più la propensione delle famiglie italiane a ricorrere al “welfare parallelo” costituito dal lavoro di cura svolto da badanti e colf, che lo Stato non garantisce e che gli italiani non vogliono fare. Ma è diminuito anche il numero di italiani disposti a fare lavori manuali nell’industria e nell’agricoltura, che sono sempre più svolti da lavoratori stranieri.
Il rallentamento che ci descrive l’Ismu non è quindi un segno del progressivo esaurirsi della spinta immigratoria. Avremo sempre bisogno di stranieri, tanto più se si supererà la crisi. Nei prossimi vent’anni in Italia, senza immigrazione, ogni quattro persone che compiranno 65 anni ci saranno solo tre persone che ne compiranno 20, e queste ultime saranno in gran parte diplomate e laureate. Quindi l’Italia sarà sempre più multietnica, piaccia o non piaccia. Ed è bene che la classe dirigente si attrezzi non per seminare paure ma per governare un processo ineluttabile ed affrontare una bellissima sfida politica: costruire una nuova società in cui possa esserci la fusione di genti e culture diverse.
Si può cominciare rimediando ad aberrazioni legislative e dando risposte all’istanza di regolarizzazione che ha preso piede nel Paese, dalla lotta dei migranti di Rosarno fino a quella per estendere la sanatoria del 2009, rivolta solamente a badanti e colf, ai lavoratori degli altri settori, costretti al lavoro nero e alla clandestinità. Ora il Governo ha preparato il “decreto flussi 2010”, dopo due anni di stop, che troverà applicazione il prossimo anno. Il decreto è il prodotto della legge Bossi-Fini e il ciclico tentativo di via d’uscita rispetto al circolo vizioso che essa produce. Prevede l’ingresso dall’estero di 100.000 lavoratori. Ripartirà la “sanatoria mascherata” cui parteciperanno (tramite il loro datore di lavoro) altissime percentuali di stranieri già soggiornanti in Italia ma privi del permesso di soggiorno, e dunque impiegati in nero. E anche questa volta dovranno attendere mesi e mesi prima di ottenere l’auspicato nullaosta all’ingresso, con il quale uscire clandestinamente dall’Italia, tornare nel proprio Paese per poi recarsi alla rappresentanza diplomatica italiana per il rilascio del visto d’ingresso, e infine per tornare in Italia da “regolari”. Ma solo 100.000 fortunati riusciranno a farlo, e certamente non tutta la domanda di regolarità verrà soddisfatta. Né lo sarà il fabbisogno di manodopera delle nostre imprese. Insomma, è proprio “il sistema” che non funziona. E tra le riforme più urgenti c’è anche questa.
Giorgio Pagano
L’autore si occupa di cooperazione in Palestina e in Africa ed è segretario generale della Rete delle città strategiche; alla Spezia presiede l’Associazione Culturale Mediterraneo.
Popularity: 2%