Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Nell’eredità di Pasolini la “Profezia” sull’Africa

a cura di in data 2 Novembre 2015 – 14:55

Il Secolo XIX nazionale, 2 novembre 2015 – La notizia della morte di Pier Paolo Pasolini mi raggiunse in una Venezia triste e piovosa. Ne fui molto colpito. I ragazzi del ’68, e io con loro, rimproveravano a Pasolini l’incomprensione di fronte a eventi che stavano mutando profondamente il Paese nel segno dell’emancipazione. Però io ero tra coloro che erano affascinati dalla capacità di Pasolini di vedere anche il lato edonista e distruttore di quel processo di emancipazione. Non ho mai dimenticato una sua frase : “Io sono sempre più scandalizzato dall’assenza di senso del sacro nei miei contemporanei”. Voleva dire che la libertà che conquistavamo era sempre più dipendente dal mercato, che la religiosità degli antichi era sempre più soppiantata dalla religione delle merci. Pasolini viveva un’enorme contraddizione: voleva l’emancipazione, stava con i comunisti, ma capiva che l’avanzata di quegli anni si accompagnava a un mutamento antropologico che svuotava di moralità e di significato la vita stessa. In questa critica radicale all’insensatezza della società dei consumi era il Leopardi del Novecento, negatore come lui dei convincimenti dominanti nell’epoca.

Le sue previsioni profetiche sulla crisi dello sviluppo e sul conseguente desolato paesaggio spirituale sono una sorgente di creatività che dialoga, più che mai, con noi: “L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine mai pronunciato. Ognuno in Italia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza”. Così come vive ancora la sua opposizione al pensiero unico: “Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali, i pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no”.

Una suggestione che Pasolini ci lascia è il suo guardare all’Africa. In Africa ho riletto Pasolini e ho capito perché lui la considerasse, con una vitalità sempre più disperata, un luogo dove ritrovare l’autenticità e la verità perdute. All’Africa Pasolini ha dedicato poesie (“Africa! Unica mia/alternativa…”), sceneggiature, film. Nella poesia “Profezia” (1964) previde la massiccia immigrazione con i barconi e la trasformazione etnica della sua Roma e del suo Pigneto. Le parole con cui conclude il film “Appunti per un’Orestiade Africana” (1970) sono ancora attuali: “Il potere di decidere del loro destino, almeno formalmente, è nelle mani del popolo. Le antiche divinità primordiali coesistono con il nuovo mondo della ragione e della libertà. Ma come concludere? Ebbene, la conclusione ultima non c’è, è sospesa. Una nuova nazione è nata. I suoi problemi sono infiniti. Ma i problemi non si risolvono, si vivono. E la via è lenta. Il procedere verso il futuro non ha soluzioni di continuità. Il lavoro di un popolo non conosce né retorica né indugi. Il suo futuro è nella sua ansia di futuro e la sua ansia è una grande pazienza”. Il disperato sguardo, in “Profezia”, di “Alì dagli occhi azzurri” è ancora spalancato.

L’altra suggestione, come scrisse Franco Cassano in “Pensiero meridiano”, è se sia possibile un uso rivoluzionario del sacro e della tradizione contro la religione delle merci. E’ difficile, perché il sacro tende a diventare potere e ortodossia: ma vale la pena tentare. Probabilmente lui, così critico con la Chiesa – istituzione ma fautore di un’interpretazione socialista della vicenda del Figlio di Dio e vicino a san Paolo come santo e non come prete, oggi sarebbe con Bergoglio: perché, scriveva, “non bisogna aver più paura di non screditare abbastanza il sacro o di avere un cuore”. Pasolini ci lascia non una nostalgia reazionaria ma una critica dello sviluppo infinito nel nome di uno sviluppo che abbia dei limiti. E ci invita a ripartire dalla sacralità dei rapporti umani e con la natura, dalla “bellezza inutile”, perché senza fini e senza scopi, delle lucciole scomparse, da tutto ciò che può fare da argine al mito del progresso illimitato.

Giorgio Pagano
Presidente delle associazioni Mediterraneo e Funzionari senza Frontiere

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