L’ immigrazione non si demonizza, si governa
Il Secolo XIX – 3 giugno 2009 – Il disegno di legge sulla sicurezza, approvato con il voto di fiducia alla Camera, approderà al Senato dopo le elezioni europee e amministrative, forse anche dopo i ballottaggi e il referendum del 21 giugno. C’è quindi il tempo per parlarne ancora.
L’opposizione di centrosinistra, la dissidenza nella maggioranza (legata a Gianfranco Fini) e la mobilitazione di ampi settori della società civile, mondo cattolico in primis, hanno portato a forti cambiamenti rispetto alle posizioni iniziali del Governo. Non c’è più la schedatura, tramite impronte digitali, dei bambini rom, ed è stato eliminato l’obbligo di denuncia dell’immigrato irregolare da parte del medico o del preside. Rimane la misura bandiera, il reato d’immigrazione clandestina, anche se la sanzione che prevedeva il carcere è stata declassata ad ammenda pecuniaria.
Restano misure odiose, che costituiscono un attacco ai diritti delle persone: come quello di sposarsi (non si potrà più fare senza permesso di soggiorno in regola). O quello di un minore orfano di ricongiungersi con l’altro genitore. Si prevede, inoltre, che l’iscrizione all’anagrafe sia subordinata alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie della casa in cui si vive: le moltissime famiglie (700.000 persone) che vivono in abitazioni senza bagno e acqua calda perderanno il diritto ad avere un’identità, e quindi al voto e a tutti i servizi. Grazie al voto di fiducia, infine, sono tornate norme già bocciate dal Parlamento: l’aumento dei tempi di detenzione degli immigrati irregolari nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) e le ronde.
Ora, come ha scritto Giovanna Zincone sulla Stampa, non sappiamo cosa avverrà di fatto: “non sappiamo se il timore generato dall’annuncio di norme poi ritirate produrrà comunque effetti dolorosi: se scoraggerà la frequenza scolastica dei bambini, se spingerà le madri a non partorire in strutture pubbliche sicure o addirittura a ricorrere all’aborto clandestino, se indurrà malati anche gravi a non farsi curare”. Così come “il reato d’immigrazione clandestina, anche se svuotato dei suoi effetti pratici più dirompenti, può diffondere un clima di diffidenza e di sospetto”. Il rischio più alto è proprio quello rinchiuso nella parola reato, “perché sembra dare un riconoscimento pubblico alla percezione già fin troppo diffusa che irregolare equivalga a delinquente”. Come trattare in modo differenziato la badante che lavora onestamente, alla quale è scaduto il permesso di soggiorno, dai criminali veri? E’ una domanda a cui questa legge non sa dare una risposta.
C’è quindi un lavoro da fare per cambiare la legge, ma anche -se dovesse rimanere così- per limitare il più possibile i danni che provocherà. Il punto vero è che l’Italia, come hanno ricordato i vescovi al Presidente del Consiglio, è già davvero una società multietnica, molto diversa da com’era venti o dieci anni fa. Lo dicono i numeri degli stranieri presenti: quattro milioni di regolari più un milione di irregolari. Le sole badanti, dicono le stime di Acli-colf, sono forse 1.200.000, la metà iscritte all’Inps, l’altra totalmente in nero. Senza questi cinque milioni di lavoratori, “sarebbe la paralisi”, hanno scritto Giuliano Amato e Massimo D’Alema sul Corriere della Sera. Si pensi appunto alle badanti, o a chi lavora nell’agricoltura, nell’edilizia, nelle migliaia di piccole imprese del Nord. Secondo uno studio di Caritas e Unioncamere nel 2050 gli stranieri potrebbero rappresentare il 20% della popolazione e i figli degli immigrati saranno in maggioranza nelle nostre scuole. E allora il punto vero è come governare questo processo, come dotare lo Stato e la comunità di un sistema di regole e di un modello di convivenza, oltre l’emergenza costante in cui regna la propaganda che illude e non risolve i problemi.
Va condotta una battaglia ideale e culturale, anche controcorrente. Bossi ha detto: “io parlo con la gente, la gente vuole questo”. Può darsi che sia così, anche se non vale per tutta la “gente”. E comunque non è vero che tutto ciò che è popolare è giusto, e che tutto ciò che è impopolare è ingiusto. Tra Gesù e Barabba la “gente” scelse Barabba. “Chi esercita responsabilità pubbliche ha il dovere politico e morale di non parlare soltanto alle emozioni”, scrivono Amato e D’Alema. Di non far leva sul sentimento della paura. Chi governa deve avere lo sguardo lungo, là dove i comportamenti spontanei, istintivi degli individui e della società possono averlo corto. Deve dare un indirizzo, a volte anche impopolare. Deve “educare”, non solo “rappresentare” la società. Fare appello a ciò che di meglio c’è negli individui e nella società.
Certo, non basta richiamare l’articolo 3 della Costituzione, che vieta proprio le discriminazioni basate su razza, lingua e religione, o la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che afferma la necessità di rispettare”la diversità culturale, religiosa e linguistica”. O richiamare la dottrina sociale della Chiesa e l’antica citazione biblica “Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto”, particolarmente indicata per un popolo come il nostro, in cui il fenomeno migratorio è così presente nella storia. Non basta perché gli elementi valoriali della politica devono coniugarsi con degli interessi. Ma noi abbiamo l’interesse ad accogliere i lavoratori stranieri. Lavoro con amici trentini, che mi hanno spiegato così il recente successo del centrosinistra sia in Provincia sia in Comune: “ i trentini sanno benissimo che senza gli immigrati i vigneti e gli alberghi chiuderebbero”.
Abbiamo inoltre interesse ad avere una politica realmente efficace nel campo della sicurezza. Esasperando la paura non si risolve il problema. La logica repressiva non basta: lo prova il fatto che nell’ultimo anno gli sbarchi sono aumentati del 107% e i rimpatri hanno riguardato solo il 36% degli immigrati irregolari. La logica “più sanzioni-meno ingressi” non funziona: questa lotta alla clandestinità genera altra clandestinità, e reazioni razziste tra gli immigrati. La clandestinità si vince coinvolgendo l’Unione europea in una politica europea dell’immigrazione, rendendo praticabile e conveniente l’ingresso regolare per lavoro e promuovendo politiche adeguate per l’integrazione. E, se è vero che la criminalità tra gli immigrati cresce, è vero anche che cresce in un clima di legalità debole, di mafie dominanti e di degrado urbano, che esisteva prima che l’immigrazione si estendesse. Quindi per una politica della sicurezza che dia risultati bisogna aggredire i nodi alla radice della malavita in Italia, dare risorse, e non tagliarle, alle forze dell’ordine, rendere più efficiente la giustizia, dotarsi di una nuova politica delle carceri…Ma nulla di tutto questo avviene. Si è solo individuato il nemico esterno: lo straniero.
Insomma, si sta preparando il peggio. L’immigrato è sempre più un ospite sgradito, i rapporti tra italiani e immigrati sono sempre più di diffidenza, la sicurezza è sempre meno garantita. Alla fine, di fronte all’inefficacia dello Stato, l’insofferenza suscitata ad arte potrebbe scatenare un “rondismo” senza controllo. Serve, da parte del centrosinistra, un “modello culturale diverso, incentrato sul primato della persona”, come dice il presidente della Regione Toscana Claudio Martini. E’ questo il grande merito della legge regionale sull’immigrazione che si sta discutendo in Toscana: non inseguire la Lega e il berlusconismo sul loro terreno, tutelare la sicurezza senza soffiare sulla paura, accogliere in modo responsabile gli stranieri in una logica in cui essi godono di diritti e sono consapevoli di avere dei doveri.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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