Il sogno di New York: più verde e più grande. Merito di un sindaco ma anche dei suoi cittadini
Il Secolo XIX – 1 ottobre 2008 – Da New York davvero Genova e la Liguria sembrano “piccole e lontane”, come ha scritto Lorenzo Cuocolo sul Secolo XIX del 29 luglio. Ed ha ragione quando dice che bisogna “tornare, imparare da chi è più bravo e rimboccarsi ancora di più le maniche”.
Di ritorno da New York, penso che i due mondi sono molto diversi, ma anche che qualcosa può e deve accomunarci. Innanzitutto l’impegno per la pianificazione urbana.
Il sindaco Bloomberg sta attuando il “ Piano New York City 2030”: un piano strategico basato su una visione del futuro condivisa e partecipata (nel confronto con le organizzazioni sociali e i comitati di quartiere, e attraverso il web) e su tanti progetti concreti, coerenti con questa visione. E’ il contrario dello stile populista-decisionista, ed è il modo per evitare la distanza tra annunci velleitari e quotidianità stagnante.
Il piano ha due obiettivi: far diventare la Grande Mela “greener and greater”, più verde e più grande.
Greener: vuol dire lotta al riscaldamento climatico, con il risparmio energetico e le fonti alternative, con più trasporto pubblico e meno auto, con la crescita del verde. Già oggi un newyorkese medio consuma metà dell’elettricità di un abitante di San Francisco, e la subway funziona 24 ore al giorno. L’anno scorso sono stati piantati un milione di alberi. Bloomberg propone lo sviluppo delle energie alternative, eolico in testa, e poi nuove linee della metropolitana, autobus e taxi ecologici, ticket d’ingresso per le auto, un grande sistema del verde pubblico. I cittadini fanno la loro parte: difendono i “giardini anarchici”, piccoli orti botanici di quartiere scampati alla speculazione edilizia, e realizzano orti e giardini sui tetti dei grattacieli (sono già 12.000). E si dimostrano consumatori consapevoli, che vanno a comprare sempre più nei farmer market (mercati di contadini): vendita diretta senza intermediari, prodotto fresco e in gran parte biologico. Una nuova voglia, nella terra che ha inventato i supermercati e il fast food, di riconciliare la città con la campagna e la natura.
Greater: vuol dire un milione di abitanti in più. New York è sempre di più una città multietnica, in cui è rappresentato ogni Paese del mondo. Nel 1960 i tre quarti degli abitanti erano bianchi, oggi sono meno della metà; il 40% della popolazione è nato all’estero, soprattutto in America Latina, Caraibi, Asia. Sono lavoratori impiegati a basso costo ma anche persone con un’istruzione superiore alla media: imprenditori e manager, in arrivo soprattutto dall’Asia. Bloomberg vuole che New York sia sempre più un melting pot: “Questa città e questo Paese – ha detto- sono stati costruiti dagli immigrati; senza immigrati New York non avrà più futuro”.
Il razzismo non è del tutto cancellato dalla società americana, ma l’integrazione è ormai una realtà. La vera questione sociale è quella degli homeless, dei senzatetto che si stanno riaffacciando anche a Manhattan, percorrendo al contrario le strade da cui erano stati espulsi. Nel 2007 New York ha avuto il record dei senzatetto: 35.000, l’11% in più rispetto al 2006. E oltre 100.000 persone si sono presentate negli shelter, i rifugi municipali. Questo è il limite più serio della politica di Bloomberg: l’edilizia popolare è crollata. L’unica risposta ai poveri è quella dei rifugi, che pure sono migliorati perché -grazie soprattutto alle associazioni di volontariato- non offrono solo l’alloggio transitorio ma anche sostegno psicologico per il reinserimento sociale.
E Genova e la Liguria? New York ci spinge ad avere più fantasia e creatività. In primo luogo contro l’inquinamento da traffico, e per le energie alternative. Perché, in una terra che deve puntare sul suo patrimonio ambientale, attardarsi sul vecchio nucleare e sui vecchi impianti e non ambire a diventare protagonisti della nuova rivoluzione energetica? In secondo luogo nella capacità di attrarre giovani da fuori, che è una condizione fondamentale per la nostra ripresa demografica ed economica. La priorità è l’università, oggi ateneo provinciale, che deve diventare grande polo attrattivo al centro del Mediterraneo. Dobbiamo volere, quindi, una Liguria “greener and greater”. E migliorare il nostro welfare, un campo in cui abbiamo noi qualcosa da insegnare a New York.
Dalla Grande Mela arrivano i segnali di un “sogno americano” diverso da quello del passato, troppo centrato sul progresso materiale personale e troppo poco preoccupato del benessere generale. Si sta profilando un sogno che oggi pone più l’accento sulle relazioni comunitarie, la diversità culturale, la qualità della vita, lo sviluppo sostenibile. Noi non dobbiamo dimenticare la nostra storia, italiana ed europea, e il nostro sogno, l’attenzione alla responsabilità collettiva e alla solidarietà. I due sogni possono ora intrecciarsi, e alimentare una nuova visione del futuro. Ma per riavere un sogno noi dobbiamo riavere una speranza. New York ci spinge anche a battere il pessimismo e il cinismo che ce la stanno togliendo.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche)
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