Il PD si decida: più coraggio e meno moderazione
Il Secolo XIX – 11 febbraio 2009 – La strada verso la ripresa, scrive il Premio Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz, passa attraverso due grandi obbiettivi: “Innanzitutto occorre capovolgere la preoccupante tendenza a una crescente disuguaglianza… in secondo luogo servono investimenti enormi per essere all’altezza della sfida del riscaldamento globale e cambiare drasticamente modi di vita e sistemi di trasporto”.
Soffermiamoci sul primo obbiettivo, che in Italia è ancora più importante che altrove. Secondo il rapporto Ocse, infatti, su 30 Paesi aderenti soltanto 5 presentano indici di disuguaglianza superiori all’Italia. La Banca d’Italia ce lo ricorda da anni con i suoi dati: il 20% della popolazione più povera percepisce meno del 7% del reddito totale; il 10% formato dalle famiglie più ricche detiene metà della ricchezza finanziaria, mentre la metà formata da quelle più povere ne possiede appena il 10%. I rapporti dell’Organizzazione internazionale del lavoro ci parlano delle sempre più crescenti disparità di trattamento tra i salari italiani e quelli dei maggiori Paesi europei: tra il 1988 e il 2006 i nostri salari sono diminuiti del 16%, il maggior declino registrato in 11 Paesi europei. A ragione l’Oil parla di “una vera emergenza salariale in Italia”.
Come ci spiegano non solo Stiglitz ma tutti gli economisti, di fronte alla crisi la cosa che conta di più è la domanda. Ridistribuire il reddito è quindi importante per la giustizia sociale e per la crescita economica. Il Governo dovrebbe, allora, sgravare le imposte con uno scalare che dia benefici dai redditi medi fino a quelli minimi. E riformare gli ammortizzatori sociali: serve un sostegno al reddito di chi perde il lavoro che copra anche i precari e che riaccompagni, attraverso la formazione, verso il lavoro.
Invece si sta facendo altro. La social card, per esempio. Che non funziona (vedi scarto tra quelle distribuite e quelle stimate) perché, come spiega Chiara Saraceno, il progetto non è stato per nulla basato sulle caratteristiche della povertà nel nostro Paese: “la social card individua solo le condizioni di povertà più gravi…ed è anche largamente fuori bersaglio rispetto alle caratteristiche degli individui e delle famiglie dove si concentra la povertà: gli anziani soli e in coppia e soprattutto le coppie con due o più figli”.
O, ancora, l’accordo sulla contrattazione, siglato senza la firma della Cgil. Il modello contrattuale va certamente riformato nel senso di accrescere il peso della contrattazione nei luoghi di lavoro. Ma l’accordo non convince perché non garantisce la difesa dei salari più bassi. Prevede, infatti, una piattaforma al ribasso dei contratti nazionali (con aumenti non detassati), da recuperare nei contratti aziendali (con aumenti detassati), cioè in quei contratti che non coinvolgono una buona parte delle piccolissime aziende del nostro Paese. Quindi per una buona parte dei lavoratori(i più deboli) il contratto di secondo livello continuerà a non esserci, mentre il loro contratto nazionale sarà decurtato.
E il centrosinistra e la sinistra? La questione sociale deve tornare al centro della loro iniziativa. C’è un gran bisogno di giustizia nel Paese, e questa parola va riadoperata da un riformismo che sia diverso da quello debole, calato dall’alto e subalterno al neoliberismo che abbiamo conosciuto in questi anni. Come ha scritto Alfredo Reichlin, “il Pd deve spostarsi più avanti, in una posizione meno moderata”.
Significa tornare a vecchie posizioni classiste e laburiste? Certamente no: il Pd deve essere un partito del lavoro ma non deve esaurirsi in questa definizione. Il mondo del lavoro deve essere il centro dell’asse politico-ideale di un partito riformista, da cui partire per rapportarsi ad altri ceti sociali, legando strettamente riduzione delle disuguaglianze, crescita economica e incoraggiamento a intraprendere.
Né significa tornare a posizioni “da ex Ds”. Pietro Scoppola, un cattolico democratico e uno dei “padri” del Pd, ci ricordava che “la democrazia per essere civile ha bisogno della passione egualitaria”. Il Pd non deve dimenticare di avere alle spalle un grande patrimonio ideale e morale, quello del socialismo, del cattolicesimo democratico e del riformismo laico: un patrimonio su cui va costruito il nuovo pensiero democratico del futuro.
Solo così si potrà parlare al grande tormento del popolo di centrosinistra e di sinistra. Chi critica il Governo e fa una proposta alternativa si sente rispondere dal semplice cittadino: “sì, ma chi la realizza?”. Basta leggere la posta di Michele Serra sul Venerdì: per la prima volta l’eventualità di non votare viene presa in considerazione da un bacino elettorale “insospettabile”. E’ più che un campanello di allarme, a cui va data la risposta, per citare sempre Reichlin, “della ridefinizione della caratura etico politica del partito e della sua dirigenza”. Il che vuol dire innanzitutto ridefinizione del riformismo perché si collochi al livello delle grandi ingiustizie del nostro tempo. E sappia, nel contempo, difendere la Costituzione di fronte a una nuova tappa di quello che Antonio Gramsci definiva il “sovversivismo delle classi dominanti”.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (rete città strategiche)
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