Il PD recuperi una moderna politica di Sinistra
Il Secolo XIX 14 luglio 2009 – L’avvio del congresso del Pd è sconfortante. Tutti a dire che bisogna confrontarsi su idealità e programmi, ma quasi nessuno che cominci.
C’è chi ripropone il tormentone dello scontro tra vecchio e nuovo. Sono coloro che vogliono “tornare al Lingotto”, dove stavano molti errori che hanno portato alle sconfitte del 2008 e del 2009, e paventano il rischio della “nostalgia”, ovviamente nel nome del nuovo a prescindere e soprattutto del riformismo, parola attorno a cui si è creata una palestra di retorica vuota: come il famoso nonsense di Mary Poppins che si pronuncia “quando non si ha nulla da dire”.
C’è poi il tormentone del ricambio generazionale, auspicabile ma oggi impossibile: nel Pd i figli non hanno ucciso i padri ma sono lì a rappresentare il papà, prigionieri della fedeltà ai capi.
Bisognerebbe ripartire dai fatti della realtà. Innanzitutto dalla sconfitta di giugno. L’appannamento di Silvio Berlusconi, alla radice del calo del Pdl, non ha avvantaggiato il Pd, che ha perso molti più voti. Non è vero che c’è stata, come ha detto Dario Franceschini, un’“inversione di tendenza”, perché non c’è stato spostamento di voti da un campo all’altro. Ma semmai segnali in senso contrario: elettori che, nelle zone rosse, sono passati dal Pd alla Lega.
Il segno politico del voto è che il Pd ha perso a sinistra: verso l’astensione, l’Idv, i radicali, le due formazioni di sinistra. Anche i voti alla Lega hanno questo segno: “Vivo con operai che votano Lega, mi dicono che è l’unica forza anticapitalista”, ha raccontato al Manifesto Matteo, tecnico di Varese. Quindi il Pd dovrebbe interpretare questo messaggio e guardare a sinistra, dove non stanno degli estremisti ma dei cittadini che vogliono una politica di sinistra. Moderna e occidentale, ma di sinistra: e quindi chiaramente e nettamente alternativa alla destra.
I fatti da cui ripartire sono la crisi del “turbocapitalismo” e quella delle socialdemocrazie europee, dentro la quale c’è la specifica crisi del Pd. Fatti con una radice comune: le crescenti diseguaglianze sociali e la svalutazione del lavoro. Ripartire, quindi, dal valore fondamentale dell’eguaglianza, per redistribuire il reddito a favore del lavoro dipendente e delle classi medie.
E poi ripartire da altri valori di fondo, anch’essi richiamati dalla realtà: la libertà individuale e i diritti civili, continuamente violati come dimostra la legge sulla sicurezza; il diritto all’ambiente, che è insieme benessere e risorsa per lo sviluppo.
Così si può rifondare un riformismo di sinistra non più subalterno al neoliberismo come quello “blairista” di questi anni. Chi teme la socialdemocrazia dimentica che essa in questi anni ha praticato una versione debole del neoliberismo e che è già da tempo “postsocialista”: esattamente come il Pd del Lingotto.
Ripartire dal lavoro, dai diritti e dall’ambiente non ha a che fare con la “nostalgia”. Il richiamo, semmai, è a Barack Obama. Ma senza dimenticare le radici solidaristiche e comunitarie delle socialdemocrazie e del Pd, che la mitologia liberale del Lingotto ha cercato di sradicare e che la crisi ha riportato all’attualità.
Così il Pd può avere finalmente un’anima, e non solo un immaginario che coltiva con ingenuità -come fece Walter Veltroni nel 2008- l’obbiettivo di sconfiggere il berlusconismo sul suo terreno. Questo è il tema: non essere un ircocervo senza identità, darsi un fondamento e mettere in campo un progetto per il Paese.
Quello che bisogna chiedere ai candidati a segretario, in un congresso che deve essere fondativo, è la chiarezza sull’identità e la rinuncia ad ogni “ma-anchismo”. Dario Franceschini e Pierluigi Bersani stanno ricercando sostenitori nelle varie componenti e radunando un po’ di tutto. Il rischio è che ciò accada a scapito di quella nettezza del progetto che, sola, può ancora tentare di destare passione civile nel Paese. E Ignazio Marino? E’ naturale che, in questo clima, susciti partecipazione. Se presentasse un’idea compiuta di riformismo di sinistra potrebbe mobilitare quella società civile così drammaticamente lontana dalla classe dirigente, nazionale e locale, del Pd. Ma la polemica sgradevole sullo stupratore di Roma non depone a favore dello spessore della candidatura. Insomma, il rischio enorme per il Pd è che il congresso non sia in grado di fondare il partito.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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