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Il Pd guardi al centro ma anche verso i deboli

a cura di in data 24 Novembre 2009 – 12:23

Il Secolo XIX – 24 novembre 2009 – C’è ancora un popolo della sinistra? Fisicamente esiste ancora, l’abbiamo visto, per esempio, nelle primarie del Pd. Ma c’è dal punto di vista di un corpo di idee diffuse e dell’identità?
L’analisi che fa Jacopo Iacoboni, giornalista della Stampa, nel suo libro “Profondo Rosso” è impietosa. Il sottotitolo è, non a caso, “La sinistra perduta”. E’ il racconto della storia di questi anni, in cui sono stati di sinistra il liberismo e l’intervento pubblico, abbassare e aumentare le tasse, premiare il merito e stare con i movimenti antimeritocratici, chiedere ordine e sicurezza e preoccuparsi per il rondismo e il razzismo… “Ma quando tutto è di sinistra nulla lo è”, chiosa l’autore. “Si perde quando ci si è persi -continua-  quando non sai più chi sei, né quale linea puoi proporre su ogni tema che ha diviso l’Italia di questi anni, e allora a volte rincorri l’avversario, altre lo imiti, altre volte non sei capace di accorgerti delle soluzioni innovative -barlumi di nuova sinistra- che pure nascono nella società italiana, di solito molto prima che il campo politico se ne renda conto”.
Iacoboni vive questo dramma collettivo facendo parlare non i leader ma, si sarebbe detto una volta, “la base”, uomini e donne “qualunque” della sinistra. I protagonisti sono persone che si occupano di politica nelle associazioni, nei gruppi sociali, nel mondo culturale. Da loro, scrive, vengono appunto  “barlumi” di una nuova identità: “come in ogni smarrimento l’azione prevede anche personaggi ed esperienze che costruiscono nei fatti nuovi paradigmi nella società italiana… una sinistra politica muore, magari mentre ne nasce un’altra nella società degli apolidi”.  Insomma, “una sinistra che tenta di riscrivere nei fatti la propria identità esiste”.
Le nove storie raccontate nel libro sono interessanti, e suggeriscono il valore di alcune idee: difendere i diritti umani con l’”interventismo democratico”, espungere ogni antisemitismo dalla sinistra, pensare al futuro e vedere la Tav come una possibilità, stare sempre dalla parte delle donne, anche di quelle islamiche vittime dei padri-padroni…
La tesi del libro è giusta: “Si perde quando già da anni hai perso la battaglia delle idee, l’unica che conti, la battaglia politico-culturale, lasciandola nelle mani, talora grezze, talora sapientissime e ormai molto più raffinate delle tue, della destra”. La sinistra, se vuole rinascere, “ha bisogno di un’identità che sia fatta di idee”.
La sconfitta c’è stata quando, di fronte alle paure provocate dalla globalizzazione, la sinistra, che era al governo in Italia e in quasi tutti i Paesi europei, non seppe dare una risposta. O perché si limitò a difendere passivamente l’assetto sociale del “secolo socialdemocratico” o perché fu subalterna  al neoliberismo imperante e si dimenticò dei lavoratori e delle disuguaglianze sociali. Questa sinistra disarmata ha perso la battaglia delle idee, e la destra ha conquistato l’egemonia con il populismo e l’ideologia del richiamo alle radici (Dio, Patria e Famiglia), della “comunità solidale” e della fine della diversità degli interessi, proprio quando le disuguaglianze di potere e di reddito diventavano intollerabili.
Come rispondere al bisogno della sinistra di dotarsi di una nuova visione del futuro? Iacoboni ha ragione quando insiste sulla necessità di riconoscere quello che si muove di positivo nella società civile, che è anche un luogo di produzione della politica. Occorre rifiutare di delegare la politica a un ceto specializzato e sempre più autoreferenziale e ridarle il respiro capace di cogliere, anticipare e governare le spinte della società. Di rimettere con forza le radici nel popolo, dice Pierluigi Bersani, un concetto che è la base necessaria di una possibile svolta nel Pd.
Sono condivisibili, poi, molti spunti del libro sui “barlumi di nuova sinistra”. Anche se resta sullo sfondo il “barlume” più importante: riscoprire il conflitto, come sostengono Manuel Benasayag e Angelique Del Rey  in “Elogio del conflitto”, un libro splendidamente anticonformista che ci spiega che nelle nostre società sempre più omologate il conflitto non è qualcosa da cui dobbiamo liberarci ma una necessità, fisiologica e utile, della vita. In particolare, la sinistra deve riscoprire il conflitto sociale nelle sue forme moderne, indagare a fondo nei mutamenti strutturali avvenuti nel corpo sociale e dare rappresentanza al nuovo mondo del lavoro. Nessun programma di conquista elettorale del centro, che è sicuramente necessario, può più significare, come è avvenuto in questi anni, mettere in soffitta gli interessi degli strati sociali più deboli e il valore dell’uguaglianza. Altrimenti la sinistra sarebbe davvero “perduta”.

Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche)

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