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Il Partito Democratico in cerca d’identità guardi alle politiche di Obama e Zapatero

a cura di in data 25 Agosto 2008 – 09:43

Il  Secolo  XIX – 25 agosto 2008 – Il Pd e la sinistra devono ridefinire politica e identità con una nuova lettura della crisi italiana e una nuova risposta, lontana dal riformismo debole e tecnocratico di questi anni.
E’ un lavoro di costruzione di un patrimonio di idee che dovrà fondarsi su una immersione totale nella realtà del Paese, possibile solo con partiti non personalizzati ma radicati nella società.
A questo lavoro è utile il riferimento sia al riformismo italiano di inizio ‘900 che a quello del dopoguerra: Di Vittorio e Amendola, Vanoni e Saraceno, Giolitti e La Malfa…
Soprattutto può servire lo stimolo della riflessione di altre forze di sinistra in Europa e nel mondo. Penso innanzitutto alle socialdemocrazie nordeuropee. Ma non c’è dubbio che, tramontata la terza via di Clinton e Blair, oggi sono Josè Luis Rodriguez Zapatero e Barack Obama le fonti di carisma politico che costringono tutti ad aggiornare i modelli di riferimento. L’immaginario politico italiano e europeo ha due nuovi protagonisti. A loro guardano coloro che non vogliono che il destino della sinistra agli inizi del XXI secolo sia quello di “morire e trasfigurarsi”, come scrive Raffaele Simone nel suo libro “Il mostro mite”: cioè scivolare in un pragmatismo sempre più light, privo di principi e di motivazioni etiche.
I due leader sono profondamente diversi, così i loro due partiti e Paesi. E l’accostamento Europa – America richiede accorte sfumature. Ma qualcosa li accomuna e, al di fuori di ogni mitizzazione, può davvero interessarci.
Il progetto di Zapatero, dopo la sconfitta del 2000, si sviluppò a partire da un giudizio fortemente critico della strategia neoliberista dei governi di Aznar. Sta qui il retroterra teorico delle riforme sociali e civili al centro della sua azione di governo. Mi riferisco al recupero di un ruolo regolatore della politica in economia e alla nuova attenzione ai cittadini con reddito più basso: ammalati, disabili, donne e anziani soli, la base del “quarto pilastro” dello stato sociale, dopo sanità, istruzione e pensioni. Una sensibilità che va ben oltre l’accettazione acritica del mercato, tipica di quel neoliberismo che, scrive Zapatero, “non produce cittadini forti ma persone che vivono nell’insicurezza e che difficilmente possono occuparsi di costruire una democrazia forte”.
La linea di Obama non  è diversa: impedire che lo sviluppo continui ad essere strabico tra chi sta in alto e chi in basso nella scala sociale; garantire a tutti l’istruzione oggi indispensabile; rendere disponibile l’assistenza sanitaria come diritto sociale anche a quei 46 milioni di americani che ne sono privi. “Noi dovremo essere la generazione -disse Obama nel discorso di Springfield in cui annunciò la sua candidatura- che garantisce ai lavoratori la condivisione della ricchezza, che risolleva la classe media, che mette fine alla povertà”.
Obama, scrive il Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz, “va votato non solo perché propone una crescita maggiore ma anche perché assicura la giustizia sociale”. E aggiunge l’altra considerazione di fondo: per Obama “la crescita deve essere sostenibile, non basata sul degrado ambientale”. “Dovremo essere la generazione -cito ancora dal discorso di Springfield- che libera l’America dalla tirannide del petrolio e fissa un limite all’emissione dei gas serra”. La lotta al riscaldamento climatico è un’altra priorità che unisce Zapatero e Obama: proprio il punto che segnò, con il rifiuto americano di ratificare il protocollo di Kyoto, l’inizio del divorzio tra Bush e l’Europa.
Obama, infine, promette la ricomposizione di un’altra ferita strategica tra Europa e Usa: la guerra in Iraq, a cui vuole mettere fine e a cui si oppose fin dall’inizio. Come Zapatero, che ritirò le truppe appena eletto. Alla radice c’è una comune visione dei problemi del mondo: il multilateralismo contro l’unilateralismo di Bush e l’alleanza strategica tra Europa e Usa, i due grandi messaggi lanciati da Obama a Berlino, si ritrovano nell’impostazione di un convinto europeista come Zapatero.
Poi, ovviamente, ci sono molte differenze tra i due. La principale riguarda la strategia dei diritti civili che si ispira, in entrambi, a una concezione laica dello stato, ma in Obama  è permeata da un  profondo afflato religioso, assente in Zapatero. Ma gli elementi in comune sono fondamentali per una sinistra che abbia un’identità e non  rassomigli alla destra. Che sappia suscitare nuove speranze.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale allo sviluppo nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani)  e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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