Il nuovo federalismo è solo una bandiera
Il Secolo XIX nazionale, 21 settembre 2017 – L’Italia è stata sempre attraversata da una forte tensione tra centralismo e localismo: alle spinte autonomiste e federaliste sono sempre seguite le opposte tendenze dirigiste, e viceversa. Negli ultimi anni il tema del federalismo era scomparso dall’agenda. Negli anni Novanta la spinta della Lega lo aveva promosso a priorità nazionale, ed erano arrivate la riforma Bassanini e la modifica del Titolo V della Costituzione. Ma poi, complici anche gli errori compiuti nel processo di riforma, arrivarono la bocciatura popolare della confusa “devolution” proposta dal centrodestra e poi il rinnovato centralismo di Monti, Letta e Renzi, il cui simbolo fu la proposta di riforma costituzionale bocciata nel referendum del 4 dicembre. Oggi l’ago della bilancia è tornato a pendere verso il federalismo. I referendum di Lombardia e Veneto rimettono al centro il tema. Il centrodestra non è solo: anche gli amministratori locali del Pd premono per una nuova stagione che ponga l’accento sui territori, e il M5S, che in Liguria propone il referendum, non è da meno.
Sembrerebbero buone notizie, perché lo sviluppo locale è un tema cruciale per la riorganizzazione del nostro sistema economico e sociale: senza la capacità di iniziativa che nasce dai territori non ci sarà sviluppo del Paese. In realtà il rischio è che si stia parlando di niente. Di bandiere da sventolare in campagna elettorale, e nulla più.
La riforma federalista è infatti “di sistema” e presuppone una cornice e un’anima, un “disegno” politico-culturale, di cui oggi non si vedono le condizioni: non ci sono né le ambizioni né le capacità in nessuna forza politica.
Né, va detto, nelle autonomie locali. Si pensi ai Comuni, divisi tra chi vuole accogliere i migranti e chi no, mentre i Prefetti, che Salvini vuole abolire, assumono un ruolo crescente di mediazione e di supplenza. Se si ricorre ancora a queste figure antiche vuol dire che l’intero sistema dei poteri sui territori va ripensato con urgenza. Le Regioni amministrano sempre più e programmano sempre meno. Mentre nelle Province stanno per tenersi elezioni di secondo livello: ma sono tornate organi costituzionali, e quindi devono essere elette dai cittadini, non dagli amministratori. Fusioni dei Comuni, macro Province e macro Regioni, federalismo cooperativo e solidale, partecipazione dei cittadini: il futuro è questo, è tornare a rifondare democrazia a partire dalla dimensione locale. Servirebbe una spinta dal basso: amministratori lungimiranti cercasi.
Giorgio Pagano
Membro del Comitato Promotore dell’Osservatorio Civico Ligure
Popularity: 3%