Il federalismo va bene se è al servizio dei cittadini e non di Bossi e Berlusconi
Il Secolo XIX – 1 settembre 2008 – Il successo della Lega ha riportato tra le priorità dell’agenda politica il tema del federalismo. La Lega ha già avuto risultati elettorali simili a quelli di oggi, nel ’93, salvo, poi, perdere alle tornate successive per il fallimento dell’obiettivo federalista. Oggi corre lo stesso rischio, e ha bisogno delle riforme per non ridiventare la Lega del folklore marginale.
Ma il federalismo non può essere un’operazione per la Lega, deve essere un’operazione per i cittadini: devono beneficiarne loro. E’ l’Italia che ha bisogno di federalismo, perché siamo un Paese sempre più eterogeneo e frammentato, in cui c’è troppo poco controllo sociale e troppo poca responsabilizzazione nella gestione delle risorse pubbliche. Una gestione che va avvicinata ai cittadini, per superare la frammentazione e migliorare la qualità della spesa pubblica. Equità ed efficienza sono quindi i due obbiettivi del federalismo. Ma la sua attuazione politica è assai difficile: bisogna evitare errori che sarebbero rovinosi.
Il primo è quello di far diventare federalismo sinonimo di localismo, accrescendo così la separatezza non solo tra Nord e Sud ma anche tra tutte le regioni e le città italiane. Il federalismo va inquadrato in un’idea di Paese e di nuova unificazione nazionale: un afflato politico del tutto assente nella bozza del ministro Calderoli. Non può essere che così, dato che la Lega è un partito regionale. Il federalismo fiscale, isolato nella sua tecnica tributaria, segmenta l’Italia e la divide in tante piccole patrie. Una riforma federalista delle relazioni finanziarie tra Stato e enti territoriali presuppone invece un assetto federalista delle istituzioni, e quindi una Camera rappresentativa delle realtà territoriali: il Senato federale. Solo così il federalismo fiscale ha una cornice e un’anima nazionali, è un’opportunità di crescita per tutti i territori, diventa la nuova base federale di una nuova unità nazionale.
Il secondo errore, conseguente al primo, è quello di rassegnarsi alle attuali differenze territoriali nella quantità e qualità dei servizi pubblici. Occorrono certamente processi emulativi che spingano le amministrazioni meno efficienti a imitare le più efficienti, puniscano i cattivi amministratori e premino i più capaci a tenere in ordine i conti pubblici e a ridurre gli sprechi. Ma sono indispensabili anche ingenti trasferimenti perequativi, che permettano alle Regioni più deboli -non solo quelle del Sud, perché, per esempio, Umbria e Liguria hanno all’incirca gli stessi costi per lo Stato della Puglia- di fornire i servizi essenziali ai cittadini. La proposta lombarda, parte integrante del programma elettorale del Pdl, prevedeva una perequazione del tutto insufficiente. La bozza Calderoli, su sollecitazione della Conferenza delle Regioni, è più ispirata alla solidarietà, ma è generica e macchinosa e ancora troppo “generosa” con le Regioni a statuto speciale (che assorbono più di un terzo dei trasferimenti statali alle Regioni!). Bisogna dunque evitare le discriminazioni e definire bene qual è lo zoccolo minimo di risorse uniforme per ogni territorio, con un importantissimo lavoro “di dettaglio”.
Il terzo errore è quello di un federalismo imperniato solo sulle Regioni, che non tiene conto che la storia d’Italia è basata sui Comuni. Perché al centralismo statale non succeda il centralismo regionale va garantita autonomia finanziaria reale e non derivata ai Comuni, trasferendo ad essi tutta la tassazione che riguarda la casa.
Occorre infine affrontare il problema decisivo della transizione dalla situazione attuale al nuovo ordinamento: il rischio di aumentare la spesa corrente attraverso la duplicazione delle funzioni per i diversi livelli di governo. Sergio Luciano, sul Secolo XIX del 20 agosto, ha inoltre messo l’accento sul problema dei costi dell’attuazione amministrativa e gestionale del federalismo, causati dalla crescita degli apparati burocratici. Calderoli parla di costo zero della riforma, ma studi e calcoli non ce ne sono. Servono, invece, stime credibili sull’impatto finanziario complessivo del progetto.
In conclusione: il federalismo è una riforma così seria che ha bisogno di un dibattito elevato e trasparente che coinvolga il Paese, e innanzitutto le sue tante competenze. Il rischio è che nei prossimi mesi le tante questioni aperte siano rimosse pur di varare comunque una legge, utile a Bossi di fronte al suo popolo e magari a Berlusconi per fare la riforma della giustizia senza che la Lega ponga problemi. Ma così non si andrebbe, nemmeno questa volta, da nessuna parte.
Giorgio Pagano
L’autore,già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale allo sviluppo nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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