Idee nuove o la politica non riconquisterà i giovani
Il Secolo XIX – 24 ottobre 2008 – Il saggio di Massimo Livi Bacci “Avanti giovani, alla riscossa” affronta un problema demografico che ha fortissime incidenze sociali. In Italia i giovani sono pochi: nel 1980 compì 15 anni quasi un milione di ragazzi e di ragazze; nel 2009 i quindicenni saranno appena 560.000. In teoria la scarsità dovrebbe favorire il rapido ingresso nella società e un’altrettanto rapida ascesa. In realtà è avvenuto il contrario, come se il declino numerico dei giovani fosse una componente della loro perdita di peso nella società.
I giovani procedono lenti nel cammino che conduce all’autonomia e l’acquisiscono tardi. Conseguentemente anche l’ascesa sociale e l’affermazione professionale vengono ritardati, con il risultato che i giovani contribuiscono di meno alla vita associata (e ne ricevono di meno), sono meno presenti nelle elites e contano di meno nella vita politica. Scrive Livi Bacci: “Nonostante i giovani abbiano notevolmente rafforzato le loro qualità negli ultimi decenni -sono più ricchi, più alti, più sani, più istruiti- le loro prerogative si sono indebolite”.
Sono più assenteisti in politica e astensionisti alle elezioni, meno rappresentati in Parlamento, meno presenti nelle professioni, nella ricerca e nell’università, nell’imprenditoria. In una recente rassegna di Who’s who -l’elenco delle persone considerate influenti- poco più del 2% ha meno di 35 anni.
Quali le cause più profonde di questo arretramento? Un’ipotesi convincente, secondo Livi Bacci, è che una società meno dinamica, anche in conseguenza del calo demografico, “genera forze a difesa delle posizioni e dei ruoli acquisiti, avverse al rischio e a coloro, i giovani, che sarebbero di più propensi a correrlo”.
Purtroppo i giovani, come ci spiegano le indagini Iard e della Commissione europea, vivono con rassegnazione questo “scippo” sociale: sono rappresentati come un lago tranquillo, qui e là un po’ increspato, ma complessivamente quieto. A differenza dei loro coetanei europei, non avvertono il bisogno di affiancare allo studio un lavoro, di affrancarsi dalla casa dei genitori, di muoversi dall’Italia per studiare o lavorare. Sembra incredibile, ma siamo all’ultimo posto in Europa per il grado di apertura internazionale dei giovani.
E la difficile riscossa? L’autore suggerisce una terapia d’urto per spazzare via impedimenti e vincoli: abbassare l’età del voto, imporre “quote”, aumentare le risorse per borse di studio e affitto, detassare il lavoro giovanile, investire nella formazione come leva per far ripartire la mobilità sociale, fino ad una sorta di “Erasmus universale” perché tutti i giovani facciano un’esperienza all’estero. Ma avverte che tutto questo non basterà “se non cambieranno le aspettative e gli ideali”, se i giovani non riscopriranno l’importanza del protagonismo personale e sociale.
Il libro andrebbe letto anche e soprattutto a sinistra, perché spiega come mai questa “generazione perdente” stia andando a destra. I giovani hanno votato a sinistra nel ’68 e subito dopo; negli anni ’80 e ‘90, delusi dalla sinistra, si sono spostati al centro, o “fuori” dalla vita politica. Solo dopo il 2000 sono tornati a sinistra, sia nelle elezioni del 2001 che del 2006: la critica alla fissità perdente del sistema li spingeva a stare contro il potere e Berlusconi. Ma nel 2008 c’è stata una svolta. La sinistra ha deluso ancora, e il 49% dei giovani ha votato per Berlusconi; solo il 31% per Veltroni e il 3% per Bertinotti. Questa volta erano loro a rappresentare l’immobilità del sistema.
La sinistra deve riflettere sui suoi limiti per capire il perché della svolta avvenuta. Ritorna il tema delle aspettative e degli ideali, per dirla con Livi Bacci. Dell’enorme lavoro da fare per una nuova identità della sinistra, ora che è tramontato definitivamente, sotto i colpi della drammatica crisi del neoliberismo selvaggio, il mito della “terza via”, cioè di una sinistra che ha adattato la politica alle logiche del mercato globale. Manca, ha scritto Emanuele Macaluso sulla “Stampa”, un’analisi del capitalismo di oggi. E quindi la sinistra non sa individuare leggi e regole per governare il mercato senza cadere nel vecchio statalismo, né sa distinguere l’acqua sporca (il neoliberismo senza leggi e regole) dal bambino (la lotta ai corporativismi e all’immobilità sociale che “scippano” i giovani). Ma è proprio la proposta su questi temi a dare un profilo a un partito riformista e a metterlo in sintonia con le esigenze della storia umana e, quindi,delle nuove generazioni. Oggi più che mai.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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