Enrico, il soldato delle SS diventato partigiano
Il Secolo XIX nazionale, 19 agosto 2022
A 97 anni ci ha lasciati Erich Heinrich Rahe, partigiano nella Brigata Garibaldi Gramsci nella IV Zona operativa, quella spezzina. Nome di battaglia “Enrico”, traduzione di entrambi i suoi nomi di battesimo. Era l’ultimo disertore tedesco combattente nella Resistenza italiana ancora in vita.
Nel 1998 Mauro Del Bene, partigiano nella “Gramsci”, lo ricordò così: “Con noi c’erano anche due tedeschi, due ragazzi veramente in gamba, che erano stati nelle SS. Da loro abbiamo sentito parlare per la prima volta dei campi di concentramento, dei quali nessuno allora sapeva niente. Uno dei due si chiamava Enrico. Quando gli chiedevamo perché avesse disertato lui rispondeva che si era arruolato per combattere i bolscevichi. Era convinto che fosse giusto combattere il comunismo. Prima lo avevano mandato in Polonia, e lì aveva partecipato ai rastrellamenti contro la popolazione civile, poi in Ungheria e poi in Italia, a fare la stessa cosa. Allora aveva capito che lo usavano per una causa non giusta. Erano molto esperti nell’uso delle armi. Uno è stato con noi fino alla fine della guerra, l’altro mi pare che l’abbiano fucilato a Sarzana”.
Rahe raccontò la sua “scelta morale” in un’intervista del 2016 al giornale “Neue Westfälische”. Nel 1942 – fabbro diciassettenne – entrò volontario nelle SS. Non mascherava la sua passione giovanile per tutto ciò che era militaresco: “Mio zio era ufficiale nella Marina durante la Prima Guerra Mondiale ed era il mio modello. Quando passavo davanti alle vetrine guardavo sempre se camminavo dritto”. “Ero entusiasta del sistema”, diceva. Nel febbraio 1943, dopo varie tappe, giunse in Ungheria, a Debrecen. Là, la sua divisione venne divisa fra le missioni in Russia e quelle in Italia, e Rahe fece una esperienza che lo segnò: “Vidi per la prima volta come gli Ebrei venivano caricati sui carri bestiame”. Un evento che gli rimase impresso per sempre nella memoria.
Come membro della 16ª divisione dei granatieri corazzati delle Waffen SS “Reichsführer”, Rahe venne trasferito sul fronte italiano in Toscana, vicino a Livorno. Durante l’estate gli giunsero le notizie dell’attentato a Hitler, ma non solo: “Si diceva che interi paesi in Italia venissero annientati, che donne e bambini venissero uccisi – e tutto questo prevalentemente da parte delle SS. Si diceva inoltre che i tedeschi sequestrassero cavalli, bovini e pecore alla popolazione che finiva quasi per morire di fame”. Il mondo di Rahe crollò: “Prima, in Ungheria, vidi come venivano trasportati gli Ebrei, poi venni a sapere che si uccidevano donne e bambini. Tutto questo mi atterrì. Non ero andato in guerra per uccidere civili, ma per combattere altri soldati per la vittoria tedesca – non sapevo che questo”.
Un nuovo modo di vedere le cose stava maturando in lui. Nel settembre 1944, quando fu costretto a una degenza nell’ospedale militare a causa di un’itterizia, il diciottenne Erich cercò un contatto con gli italiani, trovando delle persone del luogo che lo condussero da Levanto al Bardellone, in collina, e poi dai partigiani, sulle montagne della Val di Vara. Vera Del Bene “Libera”, sorella di Mauro e partigiana nella “Gramsci”, raccontò nel 2004: “Ricordo un tedesco di stanza a Levanto che, avvisandomi di una rappresaglia, ci salvò. Enrico Rahe, siamo rimasti in amicizia, ancora oggi ci frequentiamo, perché lui è salito in montagna a combattere con noi”.
Rahe trovò sostegno in un altro tedesco: “Leonhard Wenger aveva combattuto nella guerra civile spagnola contro Franco e successivamente si era unito ai partigiani italiani. Lui mi ha addestrato”.
“Enrico” me lo ha confermato nei colloqui che ho avuto con lui nel 2021 per la ricerca “Quei disertori del Reich nel vento del Nord”, pubblicata su “Patria Indipendente”: “Ho conosciuto Wenger ai monti, siamo stati insieme nella ‘Gramsci’. Aveva fatto la guerra di Spagna, poi fu arrestato in Francia, fuggì e venne in Italia a combattere con i partigiani. Nel gennaio 1945 cercò di passare il fronte sulle Apuane, una bomba che era a terra esplose, morì sul colpo”. Wenger era l’altro tedesco ricordato da Mauro Del Bene.
“Enrico” mi ha poi raccontato la sua partecipazione alla tentata rapina alla sede spezzina della Banca d’Italia, organizzata da Primo Battistini “Tullio”, comandante di un distaccamento della Brigata Garibaldi “Muccini” – segno di una collaborazione tra Brigate diverse: “Ci servivano soldi per poter comprare viveri dai contadini. Così nacque l’idea di rapinare la Banca d’Italia, dove c’era un collaboratore che era una spia della Resistenza. Indossavo un’uniforme della Wehrmacht per non dare nell’occhio, ma l’operazione fu interrotta. Cominciò un rastrellamento e dovemmo venire via”. Il racconto di “Enrico” coincide con quello di “Tullio”, nel manoscritto inedito consegnatomi dai figli. Era la fine del novembre 1944, insieme a “Enrico” c’erano due disertori che combattevano con “Tullio”: Mario, capitano austriaco, ed Enrico, tenente tedesco.
Seguirono tante azioni – e tanta fame, come ricordava – fino alla cattura e alla liberazione dalle carceri di Chiavari pochi giorni prima del 25 aprile.
Nella “Gramsci”, Rahe e Wenger non furono gli unici disertori tedeschi. Sappiamo della morte, l’11 novembre 1944 nel rastrellamento a Cornice di Sesta Godano, di Hans, ufficiale delle SS e disertore. In IV Zona il primo disertore tedesco – un altro Hans, di Colonia, della banda giellista di Piero Borrotzu – fu tra i primi caduti della Resistenza spezzina, il 26 marzo 1944. Oltre a Rudolf Jacobs – ormai un “mito” – ucciso il 3 novembre 1944 in un attacco alla sede delle Brigate Nere di Sarzana condotto dalla “Muccini”, caddero altri disertori, fino all’austriaco Josef Bauer della Brigata Garibaldi “Borrini”, ucciso nella battaglia di Licciana Nardi il 23 aprile 1945.
La loro “scelta morale” fu un fenomeno di grande significato storico e civile, se si pensa alla mentalità e alla cultura, nazionaliste e razziste, dentro cui si erano formati. Fu un fenomeno assai meno limitato di quanto si pensi. I disertori tedeschi in IV Zona furono, secondo le mie ricerche, oltre quaranta, in Italia 2-3 mila, sostiene lo storico Carlo Greppi. In Europa vi furono ben 15 mila esecuzioni di disertori tedeschi: un numero impressionante.
La resistenza al nazifascismo fu universale, internazionale, transnazionale. In particolare fu europea. La linea di divisione non fu solo tra i due campi opposti ma anche all’interno degli Stati in guerra. In questa forma non era mai accaduto nella storia europea. Anche la vicenda di “Enrico” ci spiega che c’è una saldatura tra antifascismo ed europeismo che va recuperata nel nostro immaginario. L’idea dell’Europa unita, libera, sociale è nata allora, sulle ceneri del nazionalismo, in uno scontro cioè con la questione dell’identità nazionale. La nostra Europa smemorata avrà un futuro se non dimenticherà questo suo momento di vera e propria ricostituzione e rinascita.
Giorgio Pagano
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