Elezioni, i dilemmi del popolo di sinistra
Il Secolo XIX nazionale, 24 febbraio 2018 – La campagna elettorale è orribile, dominata da risse sgangherate e proposte demagogiche. Di fronte alla tragedia di Macerata è mancata una riflessione alta, rivolta non al 4 marzo ma alla qualità della nostra convivenza democratica. I cittadini non partecipano ai comizi, né si interessano al teatrino del talk quotidiano: è una fuga dalla politica politicante. Se in Tv Sanremo, Montalbano e De Andrè hanno avuto così successo, è anche perché hanno offerto un ancoraggio sentimentale a uno stato d’animo disorientato e alla ricerca disperata di punti di riferimento.
In tanti ci chiediamo come voteremo. Io rispondo: “Non lo so, ma so che la Politica non abita qui, in queste urne”. Però so che non è giusto accontentarsi di dire: “Fermate, voglio scendere”. So che serve anche l’etica della responsabilità. Ma come praticarla?
La cultura di destra prevale. E’ piena di contraddizioni interne, ma regge. Perché il codice economico-sociale è condiviso. Il neoliberismo dell’abbattimento delle tasse unisce la destra normale dell’establishment e quella radicale: la seconda serve alla prima per orientare il risentimento dei ceti poveri non contro i proprietari delle grandi ricchezze ma contro altri poveri, gli “stranieri che invadono la patria”.
Il Pd non ha combattuto in questi anni una battaglia culturale e morale, prima ancora che politica, contro la destra, e per questo è in una crisi molto grave. Non gli resta che il richiamo a sinistra, al “voto utile”. Che però non è più credibile: c’è un popolo di sinistra che non ne vuole più sapere del Pd, percepito come il garante, subalterno alla destra, di un orrendo stato delle cose.
Gran parte di questo popolo o non andrà a votare o voterà M5S. Molti sostengono: “Siamo in una fase storica avversa alla sinistra, oggi chi è di sinistra deve rompere gli schemi tradizionali e cacciare la peggiore classe politica dal dopoguerra a oggi… E’ un rischio, ma è meglio della certezza dell’orrore che ci circonda”. Un voto con il naso turato, consapevole che nel M5S, accanto a un’anima di sinistra e costituzionale, c’è una pulsione di destra. Un voto pieno di contraddizioni. Ma che non possiamo solo criticare. Se il terzo dei votanti sceglie il M5S dobbiamo capire il perché. Sono cittadini indignati, da considerare con rispetto. Non serve gridare al lupo, ma riflettere. E, a sinistra, compiere un ripensamento profondo: perché è questo popolo che deve stare a cuore alla sinistra.
Liberi e uguali non parla a questo popolo perché è un progetto fatto per chi è “dentro” la politica, incapace di parlare a chi è “fuori”. Il leader è stato “acclamato”, con una scelta priva di fantasia. Le liste sono il frutto di un accordo di vertice tra partitini. Serviva più voglia di cambiare, più democrazia: per non dare il senso di rattoppare il vecchio, senza niente di nuovo da “fuori”, a scompaginare le carte. Non a caso è nato Potere al popolo, che appare come un laboratorio politico più fresco e aperto al sociale. Anche se minoritario.
In ogni caso il cittadino di sinistra che voterà ed eserciterà l’etica della responsabilità, lo farà in mancanza di meglio. Con la consapevolezza che in futuro usciremo dai dilemmi vissuti in queste elezioni solo se da una società in movimento scaturirà l’energia per produrre nuove idee e nuove forze. Il cambiamento non verrà da dentro questo ceto politico non più credibile, ma da “fuori”.
Giorgio Pagano
Cooperante, già Sindaco della Spezia
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