Economia verde in salsa regionale
Il Secolo XIX – 13 febbraio 2010 – Dopo il meeting sul cambiamento del clima di Copenhagen le speranze si erano spostate sulle proposte che, in base all’accordo firmato nella capitale danese, i Paesi industrializzati avrebbero dovuto presentare entro il 31 gennaio con l’obbiettivo di ridurre i propri tassi di emissione: programmi concreti, non più desideri. Invece c’è stato l’ennesimo rinvio. La coscienza che l’allarme climatico sia giustificato è cresciuta, è vero, ma c’è una contraddizione drammatica con le misure che i maggiori Stati sono disposti a mettere in atto. C’è davvero da riflettere sullo stato dell’arte di governo espressa, dove più dove meno, nel mondo, e sull’incapacità a ragionare nel nome degli interessi delle generazioni future, facendo oggi i cambiamenti e i sacrifici necessari per salvare il domani.
In questo quadro così deprimente ha ragione Riccardo Casale quando scrive su questo giornale che “la speranza viene dalle città” e dalle “iniziative local to global, che riprendono il filo partendo dai territori”. E’ un’opinione sempre più diffusa. Steven Cohen, per esempio, direttore dell’Earth Institute alla Columbia University, ha sostenuto che occorre “passare da una dimensione globale a una locale con le città e le regioni attori diretti e promotori di iniziative a sostegno dell’ambiente”.
La vera lotta ai cambiamenti climatici si fa dunque nei territori: non solo perché gli Stati sono inconcludenti ma anche perché, come scrive uno dei nostri maggiori studiosi, Guido Viale, “una riconversione ambientale dell’apparato produttivo e dei nostri stili di vita non può essere governata dall’alto o in modo centralistico”. Efficienza energetica, bioedilizia, fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, agricoltura biologica, salvaguardia dell’assetto idrogeologico, educazione permanente: sono tutti obbiettivi che richiedono certo un’impostazione dal centro, ma che poi va gestita in forme decentrate, con interventi capillari, articolati nei territori, che coinvolgano i cittadini.
I buoni esempi non mancano, e il Nord Europa è naturalmente in prima fila. Basti pensare, senza citare le ormai celebri Stoccolma e Copenhagen, alla svedese Malmő, che era una città industriale in crisi profonda e ora è un’eco-città che attrae abitanti, soprattutto giovani, da tutto il Paese: tutta l’energia che consuma è rinnovabile e prodotta localmente, da centrali geotermiche, impianti fotovoltaici e eolici; l’intero centro storico è pedonale; i nuovi quartieri che si costruiscono in aree industriali dimesse sono “verdi” e con edifici ecocompatibili. La rivoluzione verde è una realtà anche in Germania, da Berlino a Stoccarda, e soprattutto a Monaco, che vuole arrivare a coprire con le fonti rinnovabili il fabbisogno energetico delle abitazioni nel 2015, e quello di industrie e negozi nel 2025. Il tutto con nove miliardi di investimenti fino al 2025. In America non c’è solo la virtuosa California, che ha fatto da battistrada: anche New York, con il suo piano strategico “PlanNYC”, si propone di ridurre del 30% le emissioni nocive entro il 2030, con 127 progetti che spaziano in tutti i campi. Il sindaco Michael Bloomberg guarda lontano, quando l’andamento dell’economia spinge forse a guardare vicino. New York ha perso 150.000 posti di lavoro dal 2008 ad oggi, ma Bloomberg non si impressiona: “E’ il momento giusto per investire. Anche l’Empire state building e Central Park sono stati fatti negli anni della depressione. Con i green jobs creeremo 13.000 posti di lavoro”.
E in Italia? Non ci sono solo Milano e le tante città con l’aria malata e non curata. C’è anche la Provincia di Siena, che vuole diventare nel 2015 la prima provincia al mondo a emissioni zero. Tanti sono i Comuni impegnati, e a fare da apripista sono quelli più piccoli. Come Torraca, in provincia di Salerno, il primo paese al mondo ad aver convertito tutta l’illuminazione pubblica, 700 punti luce, a led, luci a impatto zero.
Insomma, mentre il mondo discute tanti sindaci fanno. Molte esperienze positive vedono protagoniste anche le realtà locali della Liguria. Perché non pensare a un censimento, a un coordinamento e a un impulso più forte da parte della Regione? Con norme, risorse, incentivi. Serve un aggiornamento del Piano energetico ambientale regionale, che abbia più ambizioni dell’attuale e nel contempo più concretezza e capacità attuativa dei progetti. Un Piano basato sulla green economy e che preveda nel contempo un’opera di trasformazione profonda degli impianti e delle centrali esistenti per migliorarne fortemente gli impatti ambientali. Si tratterebbe di una scelta coerente con un modello di sviluppo che, lungo un percorso già intrapreso, abbia come stella polare la qualità della vita, i saperi tecnico-scientifici e il patrimonio ambientale e naturale.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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