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Dopo gli errori la vera sfida del PD sta nelle alleanze

a cura di in data 23 Febbraio 2010 – 15:45

Il  Secolo  XIX – 23  febbraio  2010 – La partita delle elezioni regionali è aperta. Vedo bene gli errori e le debolezze del Pd e del centrosinistra, ma la sconfitta non è inevitabile, anzi. Berlusconi ha ancora un consenso ampio, ma le sue difficoltà sono evidenti. Derivano dalla gravità di una crisi economica e occupazionale a cui non si danno risposte, dai conflitti provocati da un’immigrazione abbandonata a se stessa, dall’ennesimo scandalo connesso a una visione autoritaria della cosa pubblica.
E tuttavia il Pd parla troppo poco agli italiani, e molto di sé. Perché ha la tara della nascita, quella dell’amalgama malriuscito. Da cui non è ancora guarito con il congresso vinto da Bersani, che pure ha aperto una nuova fase.
A diciotto anni da Tangentopoli e dall’avvio del collasso della prima Repubblica, siamo ormai alla paralisi del sistema politico. La stessa corruzione è in primo luogo il frutto avvelenato di questa paralisi. La questione è: quale rifondazione del sistema, quale assetto delle istituzioni, quale rigenerazione della politica? Come cambierà la destra quando Berlusconi tramonterà e come cambierà la sinistra, cioè quale futuro avrà il Pd? Il termine “centrosinistra” indica un’alleanza, non un’identità. Il problema è l’identità della sinistra, fondamentale per fare le alleanze. Più chiaro sarà il profilo del Pd come forza di sinistra, più trasparenti e convincenti saranno le sue alleanze.
Bersani fa bene a lavorare all’alleanza con l’Udc: l’andare da soli di Veltroni era stato un errore. Il tema delle alleanze è moderno, non è un ferrovecchio del passato. E con Casini si può non solo governare le Regioni ma anche cercare di cambiare il Paese. Ci sono elementi comuni: unità nazionale contro il leghismo, democrazia rappresentativa contro il cesarismo populista, giustizia sociale contro il classismo, civiltà con gli immigrati contro il razzismo. Temi su cui costruire un nuovo, largo centrosinistra che comprenda anche un Idv che si lasci alle spalle leaderismo e populismo e una sinistra radicale “di governo”. Ma per costruire un’alleanza che non sia solo sommatoria di voti e diventi alternativa nel Paese serve un’identità chiara del Pd, una sua “idea politica” per il Paese e un suo rapporto più profondo con il popolo di sinistra. Serve un partito popolare e non mediatico. Che metta definitivamente da parte il blairismo fuori stagione e l’”uomo solo al comando” del Pd di Veltroni.
Il cantiere della nuova sinistra e del nuovo centrosinistra si è aperto dopo il congresso del Pd, anche se non tutte le prime pietre sono state posate bene. E’ giusto criticare gli schemi burocratici e politicisti emersi nella vicenda pugliese. E, a proposito della Liguria, ha ragione il direttore di questo giornale quando mette il dito su qualche piaga: primarie fallite nel Pd, lottizzazione del listino del presidente e, aggiungo, qualche trasformista tra gli alleati. Il “colpo di timone” richiesto, a questo punto, non può che passare da un chiaro progetto di “sviluppo su scala umana” della Liguria  che unisca davvero l’alleanza e dalla garanzia che la Giunta non sarà composta con gli stessi criteri del listino.
Ci sono, comunque, in Liguria e altrove, le condizioni perché le elezioni non vadano male per il Pd. Ma subito dopo il Pd dovrà aprire un dibattito politico e culturale nel Paese, su identità, valori, fisionomia politica e programmatica di una forza di sinistra del nuovo secolo. Vendola e la Bonino dovrebbero diventarne protagonisti importanti, perché sarebbero, in questa forza, al proprio posto. Così come l’area socialista.
Un dibattito che renda il Pd meno fragile e corroso, meno ridotto a partitini personali e locali. Che ponga freno alla guerra civile interna che serpeggia un po’dappertutto. Che produca più “meccanismi coesivi”, come dice Bersani, e non si esprima solo nel ruolo competitivo dei singoli. Queste scelte, riguardanti il partito, richiamano le scelte della forma di Stato e di governo che si vuole realizzare. E’ evidente che al presidenzialismo corrisponde un partito leggero e leaderistico. Al contrario, un partito strutturato, in cui sia possibile elaborare un progetto collettivo e che abbia una democrazia e una coesione interne, non può che corrispondere a un governo parlamentare, nella forma per esempio del cancellierato tedesco.
Un partito si costruisce anche in relazione alla forma di Stato, al sistema politico-istituzionale e alla stessa legge elettorale. Tra le riforme da realizzare prima della fine della legislatura c’è quella elettorale, non c’è dubbio. Non solo per eliminare lo scempio dei parlamentari “nominati” da ristrette oligarchie, ma anche per creare le condizioni di un’alternativa. Le alleanze che vuole Bersani passano infatti anche da una nuova legge elettorale, pure in questo caso vicina al modello tedesco. Ma per raggiungere questo obbiettivo il famoso negoziato istituzionale con la destra si dovrà pur fare.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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