Contro le nuove povertà, redistribuire i redditi
Il Secolo XIX – 23 novembre 2008 – Ha ragione Stefano Zara quando sostiene, sul Secolo XIX, che quello delle nuove povertà è il problema più grave nel quale il Paese si imbatterà nei prossimi anni: “la povertà non di chi è sempre stato povero ma di chi, essendo stato benestante, diventa povero”.
Gli studi della Banca d’Italia, della Banca dei regolamenti internazionali e, ora, dell’Ocse ci descrivono una società immobile e classista, dove i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sono sempre di più e la speranza di salire la piramide sociale è ridotta al lumicino.
In vent’anni, dice l’Ocse, la disuguaglianza tra i redditi dei ricchi e dei poveri è cresciuta in Europa in media del 12%; in Italia del 33%, quasi il triplo. Oggi solo 5 su 30 Paesi Ocse hanno una struttura sociale più squilibrata della nostra: Messico,Turchia, Portogallo, Usa e Polonia. Non sono i poveri a essere sprofondati di più nella miseria, è il 60% della popolazione, la cosiddetta “classe media”, che vede allargarsi il divario con i ricchi e ha un reddito inferiore a quello della “classe media “ della media Ocse del 15%.
Altri dati ci arrivano dall’Istat: il 13% degli italiani è povero. E dalla Caritas: il 25% è a rischio povertà. Un fenomeno concentrato al Sud, tra le famiglie numerose, ma anche tra le persone sole anziane, specie donne, e tra le famiglie in cui la persona di riferimento è a bassa istruzione, soprattutto se è disoccupata: sono i poveri che restano poveri. Poi c’è l’altro fenomeno, quello del peggioramento delle condizioni dei gruppi sociali intermedi, finora relativamente protetti: anche coppie con un solo figlio, le famiglie con due o più anziani, chi perde il lavoro nell’età matura, i giovani con lavori precari.
Questa sono le storture sociali aumentate negli ultimi anni, in uno scenario mondiale di crescita economica. Sono state favorite dal pensiero neoliberista: ai ricchi, dotati di maggiore capacità di iniziativa, dovevano essere ridotte le tasse, per imprimere un maggiore dinamismo all’economia, che sarebbe andato a beneficio di tutti; e ai poveri doveva essere data la possibilità di compiere un passo in avanti nella scala sociale. In realtà è avvenuto il contrario, in particolare in Italia. La crescita non c’è quasi stata, né c’è stato un aumento del benessere collettivo. E le corporazioni hanno bloccato ogni mobilità sociale.
Ora c’è il rischio di un ulteriore e brusco incremento delle povertà e delle disuguaglianze, perché dai mercati finanziari la crisi è destinata a colpire la produzione. Sta già aumentando la cassa integrazione e sono possibili licenziamenti, che colpirebbero in primo luogo i quattro milioni di lavoratori precari. La stagnazione si è trasformata in recessione, come hanno confermato Istat e Eurostat, e minaccia di diventare depressione. L’enormità dei rischi che stiamo correndo sollecita a rimediare ai guasti sociali del passato e a prevenirne altri. Servono sgravi fiscali, non più per i redditi medio-alti ma per quelli medio-bassi, per sostenere i consumi e ridurre le distanze sociali (lo sostiene anche il Centro studi di Confindustria); la riforma degli ammortizzatori sociali, per eliminare le divisioni tra garantiti e non garantiti e sostenere i redditi di tutti i disoccupati, qualunque sia il loro contratto; la riforma degli assegni familiari. Serve ridisegnare la spesa sociale, in un’Italia in cui solo il 12,5% dei trasferimenti statali va al 20% più povero della popolazione, contro una media dei Paesi Ocse del 25%. Tutte misure più serie della detassazione degli straordinari o di qualche bonus bebè, o di una social card che riguarda meno di un milione di famiglie.
E le risorse come si trovano? Con la razionalizzazione della spesa pubblica, che va resa più efficiente, combattendo i veri sprechi, e più equa. E con la ripresa della lotta all’evasione fiscale e la tassazione dei redditi più elevati. E’ solo in questo modo che si può rilanciare l’economia perseguendo nel contempo l’obbiettivo di rientro dal debito, giustamente sottolineato dal Presidente della Repubblica. La verità, come dice Zara, è che dobbiamo fare nostro il messaggio di Obama su una migliore distribuzione dei redditi. E’ questa una delle lezioni più importanti che ci viene dalla svolta americana.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (rete città strategiche)
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