Ambiente, pace, economia: la lezione di Ratzinger
Il Secolo XIX – 6 gennaio 2010 – Nei giorni scorsi ero a Roma, e ho ascoltato sia il Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace di Capodanno, intitolato “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, sia il discorso di domenica all’Angelus “La storia ha un senso perché è abitata da Dio”. Mentre il secondo ha avuto grande eco, per le critiche alle ”previsioni degli economisti”, il primo è passato quasi inosservato. Eppure i due interventi, come si vedrà, hanno un profondo rapporto tra loro.
La tematica scelta per la Giornata mondiale della pace 2010 è di grande attualità nel suo indicare il nesso profondo tra la pace e la custodia del creato, cioè la difesa dell’ambiente dalle noncuranze e dagli abusi dei quali è vittima. Il Papa ha scritto il Messaggio, infatti, proprio mentre l’attenzione del mondo è rivolta alle conclusioni, insoddisfacenti se non fallimentari, del vertice di Copenhagen sull’emergenza climatica.
La tesi di fondo è che la pace e la cura dell’ambiente hanno uno stretto legame. Benedetto XVI lo dimostra chiamando innanzitutto in causa una nuova categoria, tipica della nostra epoca, quella dei “profughi ambientali”. Come trascurare, si chiede, queste “persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare -spesso insieme ai loro beni- per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato?”. E ancora: “Come non reagire di fronte ai conflitti già in atto e a quelli potenziali legati all’accesso delle risorse naturali?”. Se a ciò si aggiungono, osserva il Papa, “le problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali”, è chiaro che occorre “operare una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, nonché riflettere sul senso dell’economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni” nel segno della “sobrietà”. Il Pontefice ribadisce “l’urgente necessità morale di una nuova solidarietà”, “intergenerazionale”, cioè responsabile verso le generazioni future, e “intragenerazionale”, specialmente “nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e quelli altamente industrializzati”. E percepisce la dicotomia sempre più pronunciata tra i rari “progetti politici lungimiranti” e i sempre più frequenti “miopi interessi economici”: la dicotomia della politica appiattita sull’economia.
Si respirano, nel Messaggio, l’inquietudine, l’inappagamento per la forma attuale del mondo, la domanda “sul senso dell’economia e dei suoi fini” che caratterizzano l’enciclica “Caritas in veritate”. Un’analoga critica alla società e all’economia contemporanea la ritroviamo nel discorso di domenica. Non si tratta di diffidenze reazionarie e antimoderne: il tema che si pone è quello dell’impossibilità del mercato di ridurre tutto a sé, comprese le risorse naturali, come aveva preteso il pensiero unico neoliberista trionfante prima della “grande crisi”. La preoccupazione ambientale non è reazionaria e antimoderna, è anzi una conquista della modernità, di una riflessione sui limiti dello sviluppo nata mezzo secolo fa.
Colpisce, poi, il titolo del Messaggio, la scelta del “tu” e non di un generico plurale, a sottolineare che occorre, di fronte al dramma ambientale, un’assunzione personale di responsabilità, un “mutamento degli stili di vita”. E’ la consapevolezza che la riconversione ambientale dell’economia ha certamente bisogno dei governi, ma va poi gestita in forme decentrate, area per area, Comune per Comune, tetto per tetto. Con le persone protagoniste. Tema, anche questo, ripreso domenica all’Angelus: le previsioni non bastano, perché tocca ad ogni persona spendersi per migliorare le condizioni della vita. Come diceva un antico sapiente ebreo: “Se vuoi cambiare il mondo inizia a cambiare il tuo cuore”.
Benedetto XVI è apparentemente diverso da Giovanni Paolo II, ma li accomuna un pensiero planetario critico del mercato: temi e riflessioni che l’Occidente, negli ultimi tempi, ha purtroppo dimenticato. La pochezza dei vertici internazionali, prima sulla fame poi sul clima, sta a dimostrarlo: manca una visione per il futuro del pianeta. Il profetismo del Papa alza lo sguardo ed è un potente fattore morale che ha conseguenze culturali e politiche. E’ un’ispirazione che guiderà molte coscienze. Soprattutto quelle dei giovani a cui l’attuale generazione sta togliendo il futuro.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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