Il Secolo XIX – 26 luglio 2010 – Proseguo il dialogo con i lettori sul masterplan del waterfront, discutendo le loro principali preoccupazioni. La prima riguarda l’”invasività quantitativa”. Va precisato che il progetto non prevede riempimenti; anzi, in più punti il mare si avvicinerà alla città. Circa la costruzione di residenze, va detto che il waterfront sarà un prolungamento della città e quindi conterrà tutte le principali funzioni urbane: servizi, verde, negozi e anche case. Certamente poche e belle, ma è giusto che ci siano, per contribuire a rendere l’area una parte di città e non una sua appendice. Sugli edifici più alti (gli hotel) ho già scritto: pensiamoci bene, in ogni caso puntiamo su qualità estetica, presenza di funzioni pubbliche, legame con la memoria del luogo.
Quest’ultimo è un punto importante. Lo dico anche in relazione a un’altra preoccupazione, quella che teme “l’artificialità e l’esotismo” e la costruzione di “un corpo estraneo” alla città. Rischi che si evitano non solo con un’architettura che sia sì innovativa e però legata al contesto, ma anche con funzioni che siano sia per i cittadini che per i turisti. Come prevede il progetto: una passeggiata ciclopedonale lunga 1500 m., molto verde, luoghi per lo sport e il divertimento, una stazione marittima che sarà un luogo “aperto” alla città in tutto l’arco dell’anno. E poi gli spazi per la cultura.
Il tema di questi spazi si lega a un’altra tesi critica: “l’assenza di un’anima culturale, senza la quale il progetto ha poco appeal”, “di un’idea caratterizzante, che distingua il nostro waterfront da tutti gli altri”. E’ un aspetto su cui riflettere. Le torri-hotel possono piacere o meno, ma non possono essere “il simbolo originale” della città che cambia. Perché ci sono dappertutto. A Genova il simbolo è l’acquario, a Reggio Calabria sarà il Museo del Mediterraneo di Zaha Hadid. A San Francisco il Pier 39 con i leoni marini, a Sydney l’Opera House di Jorn Utzon, il teatro che ricorda una flotta di barche a vela. Ancora più bella è l’Opera House di Oslo dello studio Snohetta: sembra un iceberg spiaggiato, e il corpo centrale è circondato da piattaforme pedonali dove gli abitanti passeggiano, prendono il sole, fanno il picnic (l’ambizione dei progettisti era “democratizzare” il melodramma).
A Spezia il masterplan prevede un anfiteatro e un museo del mare. Ma quali sono le nostre esigenze? Per lo spettacolo un teatro/auditorium più capiente del Civico; per le biblioteche una nuova sede per la Beghi, ora che stiamo diventando città universitaria (viene in mente, sempre sul mare, la biblioteca di Alessandria, ancora dello studio Snohetta); per i musei o una nuova sede per il Museo Navale (ma è già in costruzione dentro l’Arsenale), o una sede unica per tutti i musei cittadini, come quella che faranno a Oslo accanto all’Opera (ma c’è il rischio di svuotare il centro storico), oppure qualcos’altro, che sia legato a storia e futuro della città. Per esempio a qualche aspetto della marineria, che non sia un doppione ma un complemento del Museo Navale. Ancora: siamo città del Mediterraneo e di Exodus, centro di pace e di dialogo tra i popoli. Perché non pensare a una Casa delle Culture del Mondo, un centro interculturale dedicato all’attività artistica e alla creatività di tutti i popoli?
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