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Walter Bertone, il potere e la gioia

a cura di in data 27 Settembre 2009 – 11:11

Il  Secolo  XIX    27 settembre 2009 – Il 2 ottobre di dieci anni fa moriva Flavio Bertone, “Walter”. Operaio sarzanese, comunista a 19 anni grazie all’influenza di Paolino Ranieri e Anelito Barontini, partigiano comandante della brigata Muccini, funzionario del PCI, Walter fu segretario della Federazione dal 1962 al 1968 e dal 1983 al 1985, senatore dal 1968 al 1983, vicesindaco dal 1985 al 1992, sindaco nel 1992-1993 e poi, fino all’ultimo, presidente di Spedia.
Walter fu un’espressione tipica di quella generazione di giovanissimi operai che diventarono partigiani e scelsero il PCI, la forza antifascista più decisa, che si batteva per un cambiamento radicale della società. Una generazione che, dopo il 25 aprile, scelse “la via italiana al socialismo” di Togliatti, la lotta per la Costituzione. Il PCI fu, nonostante il rapporto con l’Urss, una forza democratica e nazionale, con un nucleo riformista, per cui la politica partiva dai bisogni delle classi più deboli per proporre il loro avanzamento sociale. Walter, anche per la sua giovialità, era un dirigente esemplare di questa forza così radicata nella società italiana.
Negli anni ’50 rifiutò di fare la guardia del corpo a Togliatti e lavorò con Giorgio Amendola, a cui fu sempre vicino politicamente, nella Sezione di organizzazione. Combatté il settarismo e il massimalismo: quando tornò a Spezia, dove era nato il primo centrosinistra, si impegnò  per ricostruire l’unità con il PSI, poi raggiunta alla fine degli anni ’60. Aderì con convinzione alla svolta dell’89, collocandosi nell’area riformista: voleva per il nuovo partito, il Pds, un profilo socialista più netto, e fu critico con il nuovismo senza radici.
Da amministratore fece diventare il Comune un punto di riferimento nella lotta alla crisi economica. Si batté per la difesa dell’esistente ma anche per un nuovo sviluppo, come dimostra il suo impegno per le riconversioni, da Porto Lotti all’area Ip.
Erano gli anni di Tangentopoli. L’incapacità dei partiti di rinnovarsi e le modalità traumatiche del loro crollo, insieme alla fragilità dei nuovi soggetti che ne presero il posto, alimentarono l’antipolitica. Vennero di moda il leaderismo, i demagoghi che si comportano da “attori”, i partiti “leggeri”. Walter, invece, incarnava le virtù tipiche del professionismo politico: etica della responsabilità, rigore, studio, serietà, sobrietà, onestà. Il suo grande cruccio era non aver potuto studiare, e la scuola di partito gli servì perché lì imparò a studiare. Ricercava sempre la partecipazione di cittadini non “spettatori”. Certamente non diventò ricco. Oggi la battaglia per voltare pagina rispetto all’antipolitica, per una moderna democrazia dei partiti capace di riannodare i fili con la storia e di rinnovarla, deve guardare a esempi come il suo.
Dal 1983, non ancora trentenne, lavorai al suo fianco. A me e ai più giovani ha insegnato tanto. Abbiamo fatto molte battaglie comuni e ci siamo anche scontrati. Ma restavano, sempre, la collaborazione nei momenti cruciali, e “l’amicizia e la riconoscenza”: come disse in un’intervista, possono esistere anche in politica. Qualità oggi smarrite, sempre più sostituite dalla vanità. Ricordo le nostre battute e i nostri rossori. E le sere a Giucano, nella casa della moglie Anna, che accoglieva i partigiani e per questo fu bruciata dalle brigate nere. Walter la ricostruì per quello che rappresentava. Ricordo un uomo che amava il potere: ma la vita per lui non si esauriva certo in questo, perché amava la gioia di vivere.

lontanoevicino@gmail.com

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