Un patto per difendere i più deboli
Il Secolo XIX – 6 dicembre 2010 – Anziani, minori, disabili, immigrati: per loro si annuncia un 2011 di lacrime e sangue. Per le fasce deboli la manovra economica del Governo, se non sarà corretta, avrà conseguenze drammatiche. Vengono fortemente ridotti il fondo per la non autosufficienza, con cui si finanziano gli assegni alle famiglie con anziani non autosufficienti, quello per gli affitti, di cui beneficiano migliaia di persone a reddito minimo, quello per le politiche sociali per famiglie bisognose, disabili e minori. Tutti gli altri fondi, per i giovani, l’infanzia, il servizio civile sono a rischio scomparsa. Poi ci sono i tagli che colpiscono direttamente i Comuni e le Regioni: un 20% in meno per i Comuni, 154 milioni in meno per la Regione Liguria. Il Comune di Spezia, per esempio, ha speso nel sociale 7 milioni nel 2010: il prossimo anno avrà un milione in meno. Anche le associazioni di volontariato, con la riduzione della loro principale fonte di finanziamento, il 5 per mille, vengono colpite. Tutto questo mentre aumentano la povertà e la disoccupazione e quindi le persone che si rivolgono ai servizi. Ha ragione l’assessore spezzino Omero Belloni: “Mi aspetto una mobilitazione delle coscienze. I margini sono ristretti, ma dobbiamo almeno provare a ridurre i colpi”. Istituzioni, partiti, sindacati, associazioni, utenti, lavoratori (che rischiano il posto nelle cooperative e nel privato sociale): serve un patto per farsi sentire. La manifestazione indetta dal Forum del terzo settore e dai sindacati per il 13 dicembre è una prima, sacrosanta risposta.
In gioco c’è il welfare, la più grande invenzione politica dell’età moderna. La “grande crisi” ha spinto il Governo americano a un parziale rafforzamento, e i Governi europei a una secca riduzione. Ciò che aveva distinto positivamente l’Europa dagli Stati Uniti va progressivamente estinguendosi. Dalla lotta alla povertà si è passati alla lotta contro i poveri e gli emarginati. Alla strategia dei tagli va opposta la strategia del finanziamento del welfare attraverso un riequilibrio delle diseguaglianze, recuperando risorse dall’evasione fiscale e dall’emersione dell’economia in nero. Quando, come in Italia, il 10% della popolazione detiene la metà della ricchezza, quando 10 milioni di persone vivono al di sotto degli indici di povertà (senza contare gli immigrati che non appaiono), vuol dire che è emergenza civile. Che non servono aggiustamenti, ma profonde riforme sociali nel segno dell’inclusione.
So bene che il welfare va riformato, che vanno superati i suoi aspetti corporativi e assistenzialisti, che la spesa va qualificata e resa più efficace, che i Comuni devono lavorare più assieme, che bisogna puntare sul privato sociale e sul terzo settore nella prospettiva del “community welfare”. Da sindaco ho lavorato a rendere protagonista e ad attivare la partecipazione della società civile nella progettazione e nella gestione dei servizi. E in questa direzione si sta andando avanti. Ma lo Stato non potrà mai scomparire e deresponsabilizzarsi. Va sconfitta la diffidenza verso lo Stato, il leit motiv della destra che in questi anni ha influenzato anche la sinistra. Salveremo il nostro welfare se sconfiggeremo il neoliberismo.
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