Spezia attiva nel Medio Oriente
Il Secolo XIX – 4 aprile 2010 – Simonetta Musetti e Tiziano Ferri, i due operatori spezzini impegnati a Jenin nel progetto di cooperazione tra il Comune di Spezia e quello palestinese, sono tornati dopo la conclusione di una fase del progetto. La loro testimonianza è leggibile nel sito www.comune.sp.it. Il nostro Comune, in accordo con altri Comuni e la Provincia, avviò fin dal 2002 i contatti con Jenin e l’israeliana Haifa, per contribuire alla pace costruendo relazioni bilaterali, preparatorie di un rapporto trilaterale. A Jenin abbiamo concorso a realizzare il Centro giovanile Sharek, che inaugurai nel maggio 2007: fu il mio ultimo atto da sindaco, preceduto dalla Conferenza europea per la pace in Medio Oriente, che si tenne a Spezia in aprile, alla presenza di delegazioni di Jenin e Haifa. Dal 2008 è in corso una seconda fase, che concordammo proprio nella Conferenza: attivare attraverso il Centro giovanile iniziative culturali e formative e progetti economici da sviluppare nel territorio, rivolti ai giovani e da loro cogestiti. Sono stati avviati dieci progetti pilota per l’inserimento professionale di trenta giovani in microaziende, botteghe artigiane e laboratori socio-culturali. Ora si andrà avanti sia individuando progetti che mettano in rapporto reciproco le comunità di Jenin e Spezia sia aiutando lo sviluppo del turismo culturale a Jenin. Seguo per l’Unione europea il Piano strategico di Betlemme, e ho capito che gran parte del futuro della Palestina si gioca proprio sul terreno del viaggio, come occasione di scambio e di scoperta di una straordinaria tradizione culturale e di grandi bellezze naturali. Vale anche per l’antichissima Jenin e per il suo villaggio Burqin, dove Gesù guarì i lebbrosi: nel luogo del miracolo sorgono, fin dall’alba del Cristianesimo, una grotta e una cappella.
Sappiamo quanto sia drammatica la situazione in Medio Oriente, e quanto lontane siano le parti. I palestinesi chiedono il blocco degli insediamenti delle colonie, mentre Israele non intende fermarsi, soprattutto a Gerusalemme. A Gaza le condizioni di vita sono disumane. E poi c’è la frattura tra i palestinesi, che li indebolisce enormemente. E tuttavia l’unico modo per dirimere le questioni è dialogare e discutere. Lo ha capito la comunità internazionale, che finalmente si sta muovendo con determinazione.
Soprattutto servono capacità di riconoscere la sofferenza dell’altro e volontà di riconciliazione. A partire dalle persone. Lo ha spiegato, nei giorni scorsi a Spezia, Ismail Kathib, meccanico di Jenin. Lo conobbi nel 2006, a casa sua. Pochi mesi prima suo figlio dodicenne Ahmed era stato ucciso dagli israeliani. Ismail e la moglie decisero di donare gli organi a cinque bambini israeliani. Due anni dopo Ismail ha voluto incontrare questi bambini, per cercare in ognuno dei loro gesti e sorrisi un’eco di Ahmed. Questo viaggio attraverso Israele e se stesso è diventato un bel film-documentario, “Il cuore di Jenin”, che ha emozionato i ragazzi del Liceo scientifico. E’ la testimonianza anche dell’incontro con le famiglie israeliane. Il padre ebreo ortodosso di Menuha, che da Ahmed ha avuto un rene, dice “Avrei preferito un donatore ebreo” e appare incapace di riconciliazione. Ma i rapporti si evolvono e alla fine, almeno, c’è il ringraziamento per il dono. Il film finisce con un’immagine felice di Menuha in altalena: è lei il messaggio di speranza. Lei, le persone hanno il potere di cambiare le cose. Ho copia del film, ogni classe dovrebbe vederlo.
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