Si può recuperare la buona politica
Il Secolo XIX – 21 febbraio 2010 – Nei giorni scorsi è stato presentato in città “Generazione ribelle”, un libro di Roberto Speciale, già dirigente del Pci e parlamentare europeo. E’ il racconto di una storia individuale e collettiva in una Liguria che è nei nostri ricordi, e forse è ancora viva.
Un libro pessimista sulla politica e sulla sinistra. “Non c’è quasi più nessuno che si oppone a valori e comportamenti che distruggono una società ed ancor più un’umanità che è, o era, in molti di noi”, scrive Speciale. Si è spezzato il filo d’Arianna, e siamo “imprigionati in un labirinto”, da cui andare via per non condividerne la logica. Ma non per salvarsi: “nella solitudine che ho scelto non c’è salvezza, c’è solo distanza”, riconosce l’autore. Distanza da una politica in cui “si considera sé stessi come l’unica realtà e ogni interesse viene accentrato su di sé”. Una politica che rischia di perdere ”la sua densità umana” e che, “se non è segnata da idee e da umanità” rimane “una carriera individuale che interessa solo a chi la fa”. Speciale cita Max Weber e la sua concezione della politica come vocazione, che deve sconfiggere un nemico mortale, la vanità. E denuncia la “miseria” di una politica in cui invece “la vanità senza contenuto” è prevalsa.
Prima di questa deriva c’era un’altra politica. L’autore ricorda l’esperienza del Pci, in cui la politica veniva vissuta sulla scorta “di un forte senso della missione, spirito di servizio e di sacrificio al di là di ogni legittima ambizione personale”, come ha detto Giorgio Napolitano ricordando a Napoli Maurizio Valenzi. Speciale riconosce che questa esperienza “doveva essere superata”; ma in quel luogo, sostiene, “si era mantenuta a lungo un’idea della politica fondamentalmente sana”, che si è poi smarrita con il leaderismo e i “capi” circondati dai “fedeli”. Non c’è in lui il rimpianto, ma piuttosto il perdurare del bisogno di una struttura dove sia possibile elaborare un progetto collettivo. Altrimenti, come scrive, “l’impazzimento diventa generale”, e il potere si personalizza.
Sono più giovane, ma mi sono ritrovato nello “spirito” del libro. Anch’io mi sono formato nel Pci, di cui sono stato dirigente, con “quel forte senso della missione” ricordato da Napolitano. Lì ho imparato, in una forza che pure molto sbagliava, la dedizione agli altri e la moralità della politica. Sono poi stato, nel cuore della mia vita, assessore e sindaco: con pregi e difetti, ma ancora con “un forte senso della missione”. Al termine di questa esperienza ho lasciato la “carriera” a cui ero predestinato. Certamente per esplorare strade nuove, guidato da un nuovo “senso della missione”. Ma anche come reazione alla”miseria” della politica, nata e poi prevalsa in quel quindicennio.
Questo non significa rinunciare a ricucire il filo di Arianna spezzato. Si può fare all’interno del labirinto, dentro i partiti per cambiarli. Accanto a politici degni, che esistono ancora. Io sono stato distante da un Pd che per come nasceva -subalternità alle idee dominanti e leaderismo- proprio non mi convinceva. Bersani mi ha riavvicinato, per le parole -sinistra, lavoro, uguaglianza- che usa: per la speranza di un cambio di rotta.
Ma quel filo si può ricucire, anche e forse soprattutto, fuori dal labirinto: nella società civile, nel circuito delle associazioni della cultura e della solidarietà. In giro per l’Italia e nella mia città incontro tanti cittadini e giovani, puliti e combattivi. La buona politica rinascerà se saprà andarli a cercare.
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