Rosaia a dieci anni dalla scomparsa
Il Secolo XIX – 14 febbraio 2010 – Le città hanno bisogno della consapevolezza della propria storia. Il Comune ha ricordato Walter Bertone a dieci anni dalla scomparsa, con un convegno e una targa nell’atrio di Palazzo Civico. Sono passati dieci anni anche dalla morte di Lucio Rosaia, sindaco dal ’93 al ’97: un’altra personalità di cui serbare memoria. Diverso da Bertone, ma con un lascito comune: una dedizione all’interesse pubblico esemplare, un’ostinata fiducia nella città e nella sua capacità di rinascere.
Rosaia divenne sindaco, con la prima elezione diretta, nel ’93. Con lui si aprì una fase davvero nuova. Erano entrate in crisi le giunte di sinistra Pci-Psi, i partiti si stavano trasformando. E la città conosceva il momento forse più difficile della sua storia: la “grande crisi” del modello di sviluppo imperniato su partecipazioni statali e monocultura armiera. Servivano nuovi partiti, alleanze, idee. Io ero il giovane segretario del nuovo Pds, dopo esserlo stato del Pci. Per me fu una prova molto ardua, ma entusiasmante. Nacque uno schieramento progressista inedito, con Pds, Verdi e Alleanza per La Spezia, movimento nato da forze provenienti dal Psi e dal Pri. Rosaia, repubblicano mai impegnato direttamente in politica, ne era espressione. Vincemmo perché fummo capaci di cogliere la necessità di un nuovo sviluppo, di una più ricca identità della città.
Feci a Lucio la proposta di a candidarsi nel suo studio di cardiologo, alla fine delle visite. Capii subito che era la scelta giusta: non era un uomo dell’antipolitica che allora stava nascendo, ma un uomo “politico”, del cambiamento dei contenuti e dei metodi della politica. Concordavamo su un’idea di città: che è “il segreto di un buon sindaco”, come mi ricordò sempre nei quattro anni di lavoro comune. Diventai, infatti, suo assessore: esperienza di cui ho un bellissimo ricordo, anche per l’intenso rapporto umano che si creò tra noi. Rosaia capì l’importanza dell’innovazione tecnologica nell’industria; la centralità del porto e del mare, quel mare che la città, sbagliando, “aveva messo alle sue spalle”; il ruolo della cultura e del sapere -dai musei all’università- come “motori della vita di una città”. Sentiva la necessità di un “nuovo disegno d’insieme”, di “una visione”. Mi ha insegnato a governare guardando sempre, oltre al quotidiano, agli orizzonti e al destino della città. Per questo ho voluto con forza, da sindaco, il Piano strategico, completando il lavoro avviato insieme a lui con la presentazione delle linee del nuovo Piano regolatore.
L’altra sua lezione è stata quella della consapevolezza dell’autonomia delle istituzioni, pur nel dialogo costante con le forze politiche e sociali. Chi ha responsabilità di governo deve rispondere, prima di tutto, alla città. I partiti e le associazioni sono una parte, la città è il tutto, e il governo appartiene al tutto, non a una parte. Dopo Rosaia fu difficile tornare indietro anche nei metodi della politica.
Nei miei dieci anni da sindaco ho sempre cercato di essergli fedele. Certo, lui fu soprattutto l’uomo delle “scosse” al sistema politico, per costringerlo a cimentarsi sul terreno dell’innovazione. Io dovevo dare nuove “scosse”, ma soprattutto attuare le idee del cambiamento, ricercando consenso e partecipazione, ampliando le alleanze sociali e politiche. Perché le idee innovative vanno avanti solo se hanno “basi di massa” e gran parte della città le condivide. Il compito dell’oggi è ancora questo. E l’insegnamento di Rosaia ci è prezioso.
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