Plastica, l’esempio del comune di Lerici
Il Secolo XIX – 27 dicembre 2009 – Stop al sacchetto di plastica, simbolo dell’inquinamento. E’ la sfida lanciata da molti Comuni italiani. Nella nostra provincia è impegnato il Comune di Lerici, che ha organizzato momenti di sensibilizzazione degli operatori commerciali e dei cittadini consumatori, a cui ha consegnato una borsa riutilizzabile realizzata con i contributi di sponsor locali.
La morte del sacchetto di plastica è stata sancita da una direttiva europea, che stabilisce che dovrà essere proibito entro il dicembre 2009. Ovviamente l’Italia ha chiesto la proroga, rinviando il provvedimento di un anno. E’ bene, allora, utilizzare il 2010 per anticiparne la scadenza. Il Comune di Torino è all’avanguardia: la campagna di sensibilizzazione è già iniziata e si concluderà il 31 marzo 2010. Dal 2 aprile il Comune vieterà agli esercizi commerciali la distribuzione di sacchetti non biodegradabili.
Il sacchetto di plastica è l’oggetto fabbricato in maggior numero di esemplari nella storia dell’umanità. E’ fatto di polietilene, un termoplastico che si ottiene dal petrolio. Ogni anno ne consumiamo tra 500 bilioni e un trilione. Impiega quattro secoli a distruggersi, ma si usa solo qualche ora, per poi trasformarsi, nel migliore dei casi, in un contenitore per l’immondizia. Meno dell’1% viene riciclato, perché è più costoso riciclare un sacchetto che produrne uno nuovo. Dove vanno a finire, allora, i sacchetti? Nelle discariche o nei forni di incenerimento, se usati per la spazzatura. Molti, invece, finiscono in mare: le imbarcazioni transoceaniche vi gettano nell’insieme otto milioni di libbre di plastica. Poi ci sono i sacchetti che trovano la loro strada verso il mare nelle fogne. Li si sono visti galleggiare a nord del Circolo Artico e al sud, nelle isole Malvine. Costituiscono il 10% dei rifiuti che giungono a riva delle coste americane. L’effetto sulla vita marina è catastrofico: molti animali muoiono dopo aver ingerito sacchetti che scambiano per cibo. E molti uccelli restano incastrati senza speranza. Inoltre i sacchetti si fotodegradano, si decompongono cioè nel tempo in parti più piccole e tossiche, che contaminano acque e suoli. Particelle macroscopiche possono iniziare a far parte della catena alimentare.
Ognuno di noi può fare qualcosa. Se usiamo una borsa di tela, risparmiamo 6 sacchetti a settimana, 24 al mese, 288 all’anno, 22.176 durante una vita media. I governi, centrali e locali, devono “educarci”, ma anche proibire i sacchetti. Questa piccola “rivoluzione verde” è iniziata nei Paesi asiatici nel 2000, quando l’indiana Mumbay vietò i sacchetti, seguita da Dhaka, capitale del Bangladesh, e dalla Cina. La lotta al politilene sbarcò poi in Africa: l’impiego dei sacchetti venne vietato in Sudafrica, poi in Ruanda, Tanzania, Kenya, Uganda… In Europa il primato se lo aggiudicò l’Irlanda, che nel 2002 impose una tassa sui sacchetti, ottenendo una riduzione del loro consumo del 90%. Malta, Germania, Olanda e Gran Bretagna seguirono poco dopo l’esempio irlandese. Negli Usa l’impegno è più recente: la prima città a bandire i sacchetti è stata San Francisco nel 2007, poi lo stop è dilagato un po’ dovunque, in California, a Seattle, a Boston… Ora tocca a noi italiani. Dopotutto, prima della rivoluzione dei supermercati, neanche trent’anni fa, a fare la spesa ci si andava con la sacca o la rete portata da casa. Possiamo quindi tornare a fare a meno di questo vessillo dell’abbondanza della società dei consumi e della distruzione della natura.
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