Morti sul lavoro non bastano le leggi
Il Secolo XIX – 1 febbraio 2009 – Giuliano Fenelli, portuale, è morto sul lavoro. Abbiamo sentito rabbia e dolore, solidarietà per i familiari, volontà di reagire e di fermare una tragica catena di morte. Il lavoro, l’ordinaria fatica per guadagnarsi da vivere non dovrebbe assomigliare a una guerra: tre morti al giorno, 27 gli invalidi.
Si è riparlato della nuova legge sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, della necessità di accelerare i decreti attuativi, di migliorare il coordinamento delle forze ispettive. E’ necessario parlarne, certo. A partire da una analisi della situazione dei porti, che sono diventati, insieme ai cantieri edili, luoghi dove i lavoratori sono esposti a troppi rischi. Nei giorni scorsi ci sono stati incidenti anche nei porti di Augusta, Carrara, Genova e Trieste. C’è la necessità inderogabile di intervenire con un impegno straordinario di tutti: dalle imprese che devono applicare le regole e rispettare le procedure, alle Autorità Portuali che hanno poteri sanzionatori in materia di controlli, alle Asl per la vigilanza, fino al Governo che deve mettere al centro di ogni suo intervento nei porti la centralità del lavoro. L’autonomia finanziaria delle Autorità Portuali, per esempio, dovrà comportare quote di risorse da destinare a investimenti per la sicurezza, alla prevenzione, alla formazione dei lavoratori.
Ma le leggi e le ispezioni da sole non bastano. Lo ha detto il Vescovo ai funerali di Fenelli: “il profitto deve essere subordinato alle persone”. Ripartendo da questo monito, il segretario della Cgil ha preso un impegno: “bisogna ottenere tutti i vincoli possibili, saremo intransigenti su turni, orari e ritmi di lavoro”. Perché è l’intera organizzazione del lavoro che va ripensata. Il fatto che la produttività si sia imposta come esigenza prioritaria rispetto alla tutela della vita umana.
La coincidenza tra lo scandalo delle morti bianche, la crisi economica che si aggrava, la perdita del potere d’acquisto dei salari, il ritardo nel rinnovo dei contratti, la metà delle famiglie italiane che vivono con meno di 1900 euro al mese richiama tutti ad ascoltare gli operai. Richiama la politica, che ha da tempo interrotto ogni relazione con la fabbrica. Richiama il sindacato, che deve recuperare l’unità se vuole essere autonomo e forte, e quindi in grado di difendere i lavoratori.
Ritorno, infine, sulla riforma delle Autorità Portuali, su cui ho scritto due domeniche fa. Mi sono arrivate molte e-mail: il tema del waterfront e della “riscoperta del mare” è davvero il più sentito dagli spezzini, che non comprendono il perchè dei ritardi. Nel dicembre 2007 Comune e A.P. presentarono in un convegno il progetto vincitore. Nel giugno 2008, in un altro convegno, il Comune, con garbo ma con fermezza, sollecitò l’A.P. a rompere gli indugi. Qualche settimana fa il suo Presidente ha dichiarato:”Il waterfront è la più grande operazione urbanistica di Spezia e non possiamo dare l’impressione che vogliamo correre perché abbiamo da pagare un dazio. Dobbiamo fare bene perché non stiamo costruendo un capannone ma un pezzo di città”. A parte il fatto che è la crisi che ci impone sia di ”fare bene” che di ”correre”, il punto è che “la più grande operazione urbanistica di Spezia” deve governarla il Comune, non l’ente di gestione del porto commerciale (tanto più che la riforma prevede l’unificazione delle A.P. di Genova, Spezia e Savona!). Ecco perché, con la riforma, le aree dei waterfront vanno sdemanializzate e passate ai Comuni.
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